Mi sveglio nel mio tempo che sono un uomo nuovo eppur diverso. Mi ritrovo seduto davanti al Teatro comunale. Al fianco ho il mio angelo custode con le ali legate con lo spago. Il cane bastardo tutto spelacchiato, invece, s’è accucciato sui miei piedi.
Ma proprio lì ti dovevi ficcare? Vattene via, porta da un’altra parte le tue pulci!
Intanto, come sempre, gli studenti indaffarati vanno di qua e di là e sento le note che escono dalle finestre del conservatorio, do re mi fa. Zum, zum, zum suona il violoncello, parapà fa la trombetta, po, po, po soffia il trombone quando vedo una ragazza piangere appoggiata ad un portone. Lentamente m’avvicino.
Perché piangi bella fanciulla?
Ma quella nemmeno mi risponde. Mi viene voglia di lasciarla crogiolare nel suo brodo, di mettermi a fumare, di aggiungere alla storia un po’ di sale, di riprendere la strada per il mare, d’intonare una canzone ma… per il momento lascio stare. Mentre in piazza Verdi vedo delle buche come ci fosse una talpa frontaliera che s’è messa in testa di trasformare Bologna in una groviera.
Neanche fossimo in Svizzera! Esclamo.
Comunque in mezzo alla terra rimossa delle buche vedo scorrere un fiumicello fatto dalle lacrime della ragazza appoggiata ad un portone mentre continua, po, po, po, a suonare il solito trombone. E in quel rigagnolo salato saltellano, qua e là, delle piccole rane verdi, crà, crà, crà. M’accorgo anche che la ragazza impugna una zappetta.
Perché piangi, bella fanciulla? Ripeto.
Già, mi fa eco l’angelo custode che condivide la mia curiosità.
Dopo aver guardato di traverso quell’essere strampalato che mi sta al fianco quella risponde
Qualche essere sovrumano m’ha rubato la vita ed io la sto cercando.
La vita? Domando.
Ma che dici? Si stupisce il mio compare.
È vero che stai piangendo, intervengo, ma tu sei viva, guardati, ti muovi, parli e per quanto ho capito sei tu che hai scavato quelle buche. Convinciti, tu vivi!
E che vuol dire? Mi ribatte.
A proposito, perché le hai fatte? Le domanda l’angelo custode.
Ma come perché? Sto cercando di ritrovare la mia vita che un essere sovrumano mi ha rubato.
Risponde lei, quasi scocciata perché non capisce come si fa a non capire quella elementare verità.
Già, perché non c’ho pensato? Dico.
Per un po’ rimastico sulla mia disattenzione poi
Ma proprio sotto terra la vai a cercare? Insisto a domandare.
E dove la vuoi trovare?
Allora ancora una volta capisco che io ho torto e lei ragione e do una botta sul mio testone nel tentativo di farlo tornare a funzionare. Intanto anche il cane spelacchiato s’era alzato e, annusando le ranocchie che gli sembravano un bel boccone piano piano s’era avvicinato.
Come ti chiami? Torno a domandarle.
Benedetta detta Betta, dice, perché Detta sapeva di già detto e non prendeva la vita di petto.
Mi ci metto a parlare ma non tralascio di sbirciare le sue belle tette. Infatti, devo dire, che erano davvero notevoli e la mia fantasia erotica si mette a girare come una giostra. Però Betta racconta, piangendo, che quando era in vita era studentessa e le piaceva studiare.
Fin qui tutto normale.
Ma quando i professori hanno cominciato a darle da studiare i libri fatti a pezzi ha cominciato ad insospettirsi.
Ma come? Io voglio capire! Protestava. I libri li voglio interi, il pezzo non mi basta. Lo volete capire che la cosa più importante è il contesto? Diceva, battendo i piedi per terra.
Ha ragione! Esclama il gran buffone manifestando così la sua totale partecipazione.
Ma la risposta dei professori era sempre la stessa, riprende a dire Betta
Tu non ti preoccupare, solo di quel pezzo tutto devi sapere, altro che contesto! Che te ne fai? Che ti importa del resto? Lascialo stare.
Ignoranti! Mascalzoni, servi dei padroni! Allora comincia ad urlare l’angelo custode.
Taci, per favore. Gli dico. Lasciami ascoltare.
Ma, a quel punto, anche il cane si mette ad ululare in completa sintonia con il buffone con le ali. E scoppia un rumoroso concertino con le ranocchie che fanno crà, crà, crà e le note che esondano dal conservatorio, do re mi fa.
E basta! Allora urlo. Voglio sentire quello che Betta ha da dire.
E quando riprende il sopravvento la mano dolce del silenzio
Ma io vivevo per sapere! Riprende Betta trasformandosi progressivamente in una fontana.
E non è tutto.
Insiste e dice che lei aveva delle amiche dell’Università. Andavano a ballare, qualche sera in pizzeria e quando usciva il primo sole… via!, di corsa al mare a mostrar le chiappe chiare.
Certo, sono giovani, che avrebbero dovuto fare? Penso.
Ma ad un certo punto ha cominciato a sentir dire lei è più brava di te e tu la devi raggiungere e superare, il rapporto con le sue amiche ha cominciato ad incrinarsi. S’è insinuata un’insensata competizione e con questa una meritocratica separazione. E allora dubbi, invidie, sotterfugi, dispetti, mancata collaborazione.
Ma come? Le domando. Se era la tua vita!
Appunto, lei mi risponde e la fontana diventa una cascata.
Su, riprenditi, non ci pensare. Cerco di consolarla.
Ma è come se avessi gettato benzina sul fuoco.
Smetti di piangere, crà, crà, crà. Allora dice una ranocchia che saltellava tra i nostri piedi.
Ben ti sta, ti dovevi ribellare! Continua.
Ma che vuole questa qua?