Riparto e mi dirigo verso il mare. Ci metto un’ora buona per uscire da Bologna, le strade sono tutte bucherellate e dentro ci saltellano allegramente le ranocchie che fanno cra, cra, cra. Finalmente arrivo all’autostrada ma questa ce l’ha con me e, per farmi un dispetto, ancora si divide. Tiro fuori la solita monetina. Testa o croce? Opplà!
Croce! Urla il mio angelo custode contento come un bambino col suo gioco.
Verso Ferrara, dico, tanto porta sempre al mare.
Il paesaggio m’appare stranamente familiare, come se ci fossi già passato (ma quando?), e man mano che procedo ecco che il tempo di nuovo fa il suo giro. E allora mi sveglio dentro la cinquecento nella piazza di quel paese che è già giorno. Aprono i battenti i quattro bar che si guardano in cagnesco sotto l’argine del grande fiume. Uno vale l’altro per me, ho solo voglia d’un caffè. Sono tutto infreddolito. Batto i denti e allora, per riscaldarmi, faccio una corsetta.
Ma che fatica!
Arrivo. Entro. Dietro al bancone c’è una ragazza. Bella e prosperosa. Seduti ad un tavolino un gruppo di pescatori. Sembrano felici e l’allegria non ha mai posa. Sono appena tornati da una notte limpida costellata di telline. Ridono, schiamazzano, buttano giù un liquore, che buon umore! Evidentemente la pesca è andata bene. Al contrario di me che nella rete ho trovato solo questo cazzo di paese.
Ma tra tutti i militanti, sudditi obbedienti, proprio a me doveva pescare la magnifica segreteria del comitato centrale con in testa il suo grande timoniere? Impreco.
E quando l’incazzatura m’è passata
Dove posso trovare il candidato? Domando alla ragazza senza mettere altre parole in mezzo.
Laggiù, vede? Quella mi risponde.
Seguo all’incontrario ma con estrema diligenza la direzione del suo dito lungo ed inanellato e… che vedo? Un bel paio di tette che cercano di fuggire da un corpetto risicato.
No, non deve guardare qui! Mi dice. Ma che fa? Segua quello che le sto indicando.
E allora, a malincuore, riprendo il cammino del mio sguardo nel giusto verso e scorgo una casetta tutta scalcinata con i segni d’una inondazione che arrivano fino al secondo piano. Lesto m’incammino. Suono. M’apre una vecchiaccia. Rimango sconcertato.
Chi è questa megera? Mi domando. Quant’è brutta! E mò che faccio? Scappo, urlo oppure faccio il tonto e dico che ho sbagliato?
Ma…
Tu che vuoi da me? La megera, con i riflessi pronti, m’anticipa sul tempo.
Sto cercando il candidato. Rispondo, preso alla sprovvista.
Entra, allora. M’intima, decisa.
Pieno di timore varco la porta di quell’antro buio. Sembra la casa d’una strega. In un angolo in penombra vedo un uomo curvo che sta seduto con il bastone in mano.
Chi è?
Vieni avanti, compagno. Sento.
L’ho trovato!
Il candidato è un vecchietto ormai canuto che non si regge in piedi nemmeno per miracolo. Dopo averlo salutato provo a chiedere se mi racconta la sua storia.
Ma perché mai l’ho fatto?
Lui di certo non si fa pregare e comincia
Sono stato un comandante partigiano, poi ho fatto il pescatore di telline, l’autista d’autotreni, il portiere di uno stabile a Milano e adesso sono qui, a fare il pensionato aspettando che la morte mi porti via ma prima… hai visto mai che finisca in Parlamento e che riesca ad arrotondare la pensione?
Illuso! Penso.
M’accompagna nel viale del tramonto, continua, quella moglie che ti ha appena aperto, è un po’ burbera, è vero, ma non ci badare, mi vuole bene.
Sarà! Penso. Ma non ci credo.
Adesso, però, riposati. Riprende. Sarai stanco e domani dobbiamo andare nella nostra casa al mare.
Al mare? A fare? Gli rispondo. Ma non ci siamo già?
No, no, questo non è mare, quest’acqua non è ne dolce ne salata. Siamo nel delta, non l’hai capito?
E quindi dove andiamo? Chiedo.
Domani andiamo al lido di Volano.