Fermi tutti. Alt, stop. Si fermi anche il mio e il vostro tempo. Si fermi anche il componimento. C’è un bisogno estremo di lentezza. Cessi, certo, la nostra insensata corsa di parole. E allora mi siedo sull’argine del fiume. Sto in silenzio. E aspetto. M’aspetto che qualcosa accada. Nel mio intimo, però, spero che non succeda, che tutto resti quel che è. Così, com’è. Guardo l’acqua che, veloce, passa. Silenziosa e mossa. Dall’alto della sua statura di gigante mi protegge un pioppo fronzuto e snello. Freme alla leggera brezza della sera. Forze trema. Chi lo può sapere? Tra le sue fronde saltellano dei passeri vispi e spensierati. Quei monelli si preparano per la notte. Con cura si puliscono le ali, si strofinano il becco su un ramoscello, danno la buonanotte agli implumi lor figlioli e poi si mettono il pigiama prima di andare a dormire con la testa sotto l’ala. D’intorno tutto è rosso fuoco perché il sole s’è appena coricato trascinandosi dietro il giorno. Si nasconde, malandrino, sotto il filo dell’orizzonte. Gioca a nascondino. Per una notte intera non si farà più vedere. Ma anche lui ha bisogno di dormire, è stanco ed è sudato.
Ci credo, tutto il giorno a dardeggiare!
Strisce di nuvole rosa, leggere e trasparenti, segnano il cielo come un pennello la tela d’un pittore. Scintillante e spudorata nel mezzo di quei filamenti di zucchero filato splende Venere, la stella della sera. L’aria s’è già fatta frizzantina. Uno sgraziato concerto di piccole ranocchie fa da colonna sonora a questa scena agreste.
È il Paradiso, penso.
È il niente. Si! Il niente, il niente, il niente! Il nulla più assoluto. È assenza. Annullamento di qualsiasi tempo. Per ritrovare il senso. Contro ogni frenesia imposta con la forza. Che è perdita di senso. Sto fermo, immobile, senza nemmeno respirare. Così riesco a pensare. Tengo gli occhi chiusi, esplorando gli altri sensi. Riesco a capire. M’abbandono nudo e disteso in mezzo al creato più minuto. Così riesco a campare. E fuggire. Si, fuggire dalla vita in cui sono imprigionato. Fuggire da ogni condizionamento. Fuggire dalla superficie per esplorare a fondo il fondo. Voglio conquistare il mondo.
Questo si che è Rivoluzione! Dico.
Guardo il fiume. Guardo il cielo. Ancora il fiume. Passa veloce un tronco che galleggia. E poi… una fronda, una foglia, un altro tronco ancora. Una biscia che ha deciso d’andarsene a dormire da un’altra parte segna la superficie con il suo incedere sinuoso. Sembra che danzi, ma in orizzontale. Ecco che, d’un tratto, compare un cerchio sulla superficie dell’acqua. Tante piccole onde s’irradiano dal suo centro e si inginocchiano esaurendosi ai miei piedi. Mi portano un saluto, tenero e affettuoso.
Ma di chi? Io mi domando. Un messaggio da un diverso mondo? Una bottiglia affidata al mare?
Un altro cerchio. Un altro ancora. Sembra che piove. Adesso sono mille le gocce immaginarie che segnano la superficie. Rade, gonfie, pesanti. Ma mi sbaglio. Sono solo dei pesciolini che saltellano sull’acqua per salutarmi da lontano agitando un po’ la coda. Quando sono fuori dall’acqua riflettono una luce d’un argento vivo come le stelle del firmamento. È un attimo, un istante. Poi scompaiono nelle viscere del fiume. Ma mi basta.
Una cosa bella veramente dura un battito di ciglia, non di più. Sono convinto.
È la pace… Non c’è un rumore. Non c’è niente. Solo le voci sincere della natura. Di loro ci si può fidare. Eccome! L’erba alta ondeggia e culla la mia mente accompagnandosi con una leggera cantilena. È una ninna nanna dolcissima e serena. Le canne ballano ad un ritmo lento sotto la spinta lieve della corrente. E il resto non esiste. Ripeto ancora
E’ il niente.
O è il tutto?
Allora io mi stendo sul terreno, chiudo gli occhi e mi metto ad ascoltare. Ascolto le parole sussurrate da quella terra. Sono vere. È a questo punto che io m’arrendo e mi lascio attraversare dai suoi umori. Dai suoi sapori. Il profumo fresco e inebriante dell’erba bagnata. Quello aspro e pungente d’un campo concimato. Quello vivo degli animali che si muovono lì intorno. Allungo una mano e nel mio palmo avverto lo stelo lungo d’un fiore selvatico. La sua corolla è ripiegata per la notte. Le sue foglioline sono bagnate dall’umidità. Con gli occhi chiusi esplodono tutti gli altri sensi. E riesco a percepire tutti i linguaggi degli esseri viventi che mi circondano, riesco a cogliere tutte le parole. Quando li riapro è già notte. Intorno a me una distesa di lucine intermittenti. Tac… tac, tac… tac… Un campo sterminato di lucciole giocose si rincorrono tra loro e sembrano un grande albero di natale. Tac… tac, tac… tac… Giocano con loro, leggeri e trasparenti, i ciuffi bianchi dei pioppi che hanno conquistato la loro libertà dall’albero genitore. Veleggiano, allegri, sulle onde d’un venticello che vien su dal mare. Uno spicchio di luna si riflette sulla superficie ormai scura del fiume. E allora sono due le lune che illuminano l’ambiente e l’illuminano d’una luce cenerina. Una luce timida, appena percettibile. Mi alzo in piedi e gettando lo sguardo intorno, commosso, mi dico
Com’è possibile tutto questo?
Ma poi, tirato per il collo dalla vita che mi vuol portare da un’altra parte
Ma che sto facendo? Mi domando. Sono caduto anch’io in un’impossibile illusione? Sono in televisione? Ma no, che dico?, questo è solamente l’intervallo.
Adesso, dopo la pubblicità, viene la sigla d’apertura e ricomincia la corsa della vita.