L’ Amicizia nel Covid
Cambiamenti da distanziamento
Introduzione sul contesto.
Sono nato, cresciuto e abito un paese con una decina di migliaia di anime ( contando anche le piccole frazioni) in espansione perpetua grazie alla sua vicinanza dalla Città e al suo essere ai piedi di colline, nei pressi di campagne, parchi pluviali e boschi. Da qui, ogni luogo carico di fascino e attrazione è raggiungibile comodamente nell’arco di un’ora/un’ora e mezzo (le Cinque Terre, la Toscana, l’ Appenino, la Montagna, le Alpi, Milano, Bologna), a pochi chilometri dalla via Emilia e tappa della via Francigena.
P.S. Maria Luigia (Quella Maria Luigia) è stata qui!!!
Sono figlio di Immigrati Lui, figlio di contadino e macellaio, abbandona l’idea di diventare medico come forma di riabilitazione sociale e per inorgoglire il suo Vecchio , corre l’anno 1968, c’è fermento e profumo di rivoluzione su al Nord, e inoltre sarà più semplice trovare lavoro Lei lo segue dopo un pò, ha fatto le magistrali e già a 17 anni può lavorare negli asili.
A fine anni Sessanta erano i Meridionali, i terroni, a essere bersaglio dell’odio razziale italiano. Venite a rubarci il lavoro, statevene a casa vostra (parole che hanno comunque resistito negli anni, cambiando di volta in volta il destinatario). Questo odio solo nei Novanta ha lentamente incominciato a spostarsi sugli Albanesi, poi sui Nordafricani, sui Romeni, e via discorrendo arrivando ai barconi dei giorni nostri. Ma un pochettino, per i più nostalgici, il disprezzo verso il Terrone rimane comunque ancorato e ben saldo al cuore, come un richiamo ancestrale. “Terò d’merda!”, un’esclamazione di felicità, che porta con sé la volontà di insultare e ferire.
Sinceramente non capivo, ero nato lì. I miei forse lo erano, ma non capivo comunque che c’era di male ad essere Amanti della Terra. o almeno, mio padre mi diceva che quello significava.
Fortunatamente da bambini/adolescenti erano pochi i soggetti che praticavano questa prassi dell’insulto quotidiano e venivano stigmatizzati. Ma quando nelle giovani diatribe gli animi si surriscaldavano il colpo di grazia trasportato con rabbia, la stoccata finale che sapeva bene essere indirizzata verso corde specifiche, rimaneva universalmente la stessa, per razzisti e non. “T’si noterò d’merda”.
Devo ammettere però, nonostante la piccola croce che mi portavo addosso, di essere stato baciato dalla Fortuna. Ero un bel ragazzino (avevo tutti quanti i capelli) , magro, intelligente quanto bastava (cresciuto con due fratelli di dieci anni più grandi, mi capitava spesso di arrivare prima), tra i migliori della mia età nel giocare a calcio e richiestissimo sul piano sentimentale. Tutti quanti i crismi per vivere serenamente i rapporti con i coetanei erano presenti. Onestamente, non oso immaginare quale relativo Inferno avrei dovuto passare se fossi stato Terrone, grassottello, brutto e incapace di giocare.
Grazie a queste “qualità” che in qualche modo controbilanciavano l’essere fondamentalmente stronzetto, prepotente e terroncello, richiamavo attenzioni attorno a me, nascevano i gruppi, le “compagnie” le cui dinamiche di crescita penso vadano a determinare in larga parte ciò che sarai da grande.
La mia Compagnia.
La mia è stata una grande Compagnia, una presenza costante nella mia crescita; sei obbligato al confronto con l’altro, modelli i tuoi limiti e impari a stare al mondo. Presenza costante e onnicomprensiva: nella formazione scolastica, nelle confidenze amorose, negli incontri a discutere su fatti di attualità, nel calcio, nella vita di tutti i giorni, nei pomeriggi interminabili che finivano sempre troppo presto, nelle vacanze nella mia (o dei miei) Terra di origine in una decina tutti rigorosamente in due in scooter, nelle notti a disquisire e compartecipare alla nascita sogni rivoluzionari e a cantare sotto i dormitori delle suore dell’Asilo “Don Chisciotte” e “L’Avvelenata” in uno stato di bipolare ebbrezza (da alcool/fumo e pura, candida felicità condivisa), ai concerti di Bandabardò e MCR, ma soprattutto nella buona e nella cattiva sorte; una specie di matrimonio, una numerosissima famiglia che crea il mondo fatto su misura per te. A vent’anni, nel mio personale periodo di isolamento forzato dal Mondo, loro erano li con me, a turno, ma c’erano.
Definizione amicizia.
La grande Enciclopedia recita così:
AMICIZIA. Vivo e scambievole affetto fra due o più persone (in maniera disinteressata), ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima.
Inverno 2019. Una situazione di sconforto stagnante si perpetrava già da tempo (a trentadue anni ero l’unico a essere rimasto senza compagna), avevo bisogno di più tempo con loro, senza pretese di qualità, solo la loro presenza che sentivo mancare. Chiaramente, ognuno era “troppo preso” dalla propria vita (come probabilmente lo ero io mentre convivevo con Lei, anche se onestamente non mi sembra di aver trascurato nessuno in quel periodo). Rare le occasioni di ritrovo estemporanee, costanti invece le “classiche” affettate serate di Venerdì (cena fuori prestissimo, grande partecipazione degli amici con figli) e Sabato (sempre cena fuori/partita o “magari in seconda serata”).
Faccio il pizzaiolo il fine settimana, cerco di finire il prima possibile per correre da Loro, la maggior parte si è già defilata. Bevo una birretta da solo al pub, due chiacchiere con il/la barista e a letto.
In questo periodo, dall’8 Marzo, sono rimasto solo in casa, l’unico della Compagnia. Tutti gli Altri convivono (chi con figli, chi senza) o vivono con i genitori. Mia Madre mi accompagna in ogni situazione in cui mi prendo cura di me. Mentre vedo un film seduto al mio fianco sento mio Fratello, o mia Sorella se guardo “Mistero Buffo”.
Ho un giardino e un orto; non sono persone, ma compensano la loro mancanza nella pratica quotidiana che necessitano e nelle evocazioni che emanano me le fanno sentire più vicine Mio padre mentre zappa G. che mi viene a trovare e in preda allo sdegno che prova per me quando l’erba cresce troppo mi insulta e taglia il prato.
Attraverso la fortuna di poter vivere la Natura guardo il Sole e mi vedo con Loro a Monterosso come tutte le Pasquette, vedo mia Sorella nelle farfalle, mio Fratello e mio Padre mentre trapianto nuova vita nell’orto, mia Madre quando dò da bere ai fiori, rivivo l’Amore quando osservo commosso la luna piena del 7 Aprile.
Ma ho bisogno di Loro. Non mi limito più a lanciare segnali, soffro e senza paura di discutere o ferire qualcuno espongo le mie questioni con un lungo messaggio su un gruppo Whatsapp:
“premetto: sto bene, nessuna patologia ha preso il sopravvento su di me.
Nessuno sente l’esigenza di condividere qualche momento in più di socialità?
Apro questa mia, che non vuole essere una polemica ma uno spunto di riflessione, con questa domanda. Confesso che una parte di me è imbarazzata, “se nessuno si pone il problema, evidentemente non lo è”. Sono passati 24 giorni, e probabilmente altrettanti ne passeranno. Giorni in cui non ci si è visti, se non virtualmente, per i nostri dieci minuti di scambio di battute giornaliero. Raro momento di emozione nell’arco delle 24 ore, che attendo sempre, non in “trepidante attesa”, ma quasi. Sicuramente ho più tempo a mia disposizione di altri. E ho un carattere critico e riflessivo. C’è più tempo per riflettere una volta azzerati i contatti sociali, dai quali in qualità di esseri umani dipendiamo.
Sono anche, credo, schietto e chiaro nel mio rapportarmi agli altri, e soprattutto con chi reputo più vicino a me, a costo di risultare o essere additato come pesante. È da tempo ormai che provo a lanciare segnali, a volte colti, altre no, in cui cerco di esprimere (compatibilmente con le singole necessità) un mio personale bisogno (quello verso il sesso femminile non ho mai faticato ad esplicitarlo). Un bisogno che nasce forse dal mio modo diverso di vedere e interpretare la realtà, non lo so, ma è una cosa che sento e che altro non è che cercare di passare più tempo con voi. Non mi permetto di mettere in discussione la qualità del sentimento di amicizia che ognuno di noi prova per l’altro. Ma vi confesso che ultimamente era, e forse adesso più che mai, diventato frustrante. Non metto in dubbio nemmeno la purezza delle azioni e delle scelte che ognuno fa in questo frangente, perché capisco benissimo che ognuno è diverso con modi di sentire e di esprimersi diversi. E sono anche convinto, che in caso di grandi difficoltà ognuno farebbe di tutto per far star bene l’altro, come abbiamo sempre dimostrato. Penso anche, se mi è concesso, che i rapporti si formino e si rafforzino nelle piccole cose, e non solo dai grandi gesti nelle situazioni estreme. Se fosse necessario che uno stesse male per sentire amichevole solidarietà e caloroso supporto mi sembrerebbe disvelato un rapporto tendenzialmente ipocrita. Quello che mi chiedo quindi è: a voi va bene così, e non sentite quello che sento io?
Nel caso, spero nessuno si senta turbato o offeso, aspetterò un vostro pensiero, ci ripenserò e ci rifletteró di nuovo.”.
Piccola discussione e confronto. Mi rincuora.
Ma passano i giorni e le cose nei fatti non cambiano, nessuno è disposto a pensare a come poter passare qualche ora di tempo insieme. Non chiedo discussioni forbite, confronto di pensieri (richieste inammissibili o quasi) ma un qualsiasi gioco, che mi dia l’illusione di essere insieme, come siamo sempre stati.
Decido di tornare sotto, questa volta colpendo e ferendo, metto in dubbio valori e sentimenti. Voglio che aprano gli occhi, non può essere una scusante per tutto il contesto di vita nel quale si è cresciuti o nel quale si vive ora.
Come possono non sentire la distanza? Come può bastare una videochiamata di gruppo col telefonino mentre si lavora al pc?
Viene proposto un risiko, finalmente, sabato siamo stati insieme dalle 21 30 fino alle 4.30. Dopo più di un mese in Quarantena. C. “si attacca” con gli amministratori del gioco nella chat, viene bannato, crea altri due account. Non mi divertivo cosi da non so quanto tempo, piangevo e stavo per farmi la pipi addosso.
Ringrazio tutti, anche loro non si divertivano cosi da tanto. Forse, grazie a me.
Stasera, mercoledì, giochiamo ancora.
Nuove amicizie.
Qui si apre un altro capitolo.
Ottobre 2016. Sono nuovo, dal “paesello” muovo verso la grande Milano. A lezione una professoressa mi dice di cercare un testo nella libreria che sta in piazzale San Simpliciano, cercando La Dottoressa Ligresti.
Trovato Il Mondo Offeso (che strano nome per una libreria, penso). Entro.
Buongiorno. Buongiorno.
Cercavo la Dottoressa Ligresti, mi manda una professoressa dell’Accademia.
La donna che ho davanti scoppia in una dolce, contenuta e imbarazzata risata che difficilmente riesce a sopprimere mentre chiude gli occhi (risata che da subito imparo ad amare, è un sorriso totale, dal cuore, dall’anima e di tutto il volto, che trasmette felicità come poche altre cose al mondo), mentre prova a chiedere scusa. Sono leggermente in difficoltà, di cazzate ne dico, ma questa non la sembrava.
Cosi, conosco Laura. Conosco Nati, un’altra anima sempre sorridente calda e accogliente (fate attenzione, è una droga che crea fortissima dipendenza). Conosco Marco. Ecco, lui il sorriso lo tiene per le occasioni speciali, come in una cantina si conserva il mitico Dom Perignon del ’47, “Che ci fai qui” e “Che vuoi” i suoi Buongiorno e Buonasera, ma sono convinto sia il suo modo di dirti “ti voglio bene” (anche questo imparo in fretta ad amare, nelle giornate più grigie come in quelle più serene, non potete capire la soddisfazione e il piacere che si provano nel punzecchiarlo e provocarlo, o forse è una pratica condivisa?).
Conosco quindi il Mondo Offeso. Quello che sarà il (forse unico) luogo in cui mi sento a Casa, un rifugio di bellezza, la mia Vera Casa a Milano. Il salto è breve, diventano Famiglia.
Attraverso questo Mondo incontro altre persone Offese, e la rete con grande piacere si allarga, arrivando fino all’ 8 marzo 2020.
E’ da un pò che non vado a Milano, e sento la mancanza di Quel Mondo, ma nonostante fuori sta per scatenarsi un putiferio arrivano buone notizie dal Mondo Offeso.
NOI SI RESISTE.
Incontri giornalieri di socialità ahinoi surrogata, è l’unico modo. E con immenso piacere partecipo. Non posso abbracciare Laura e Marco (Lascia perdè) ma li sento vicini, con una costanza mai avuta prima. Musica, Letture, Teatro, approfondimenti, attualità, Astronomia, Filosofia, Politica, Scienza, dibattiti, scambi. Insomma, somministrazione di cultura che nessun Dottore prescrive (ora capisco a cosa si riferiva la prof quando mi disse di chiedere della Dott.ssa Ligresti). Ma soprattutto, condivisione e socialità. Rivedo con estremo piacere alcuni volti della Libreria, gli amici di Quel Mondo, e altri volti ancora sconosciuti. Come direbbe Laura, quanta bellezza.
Il Sole c’è. Il terreno è fertile. Tutte le sere buttano lì un seme. Noi si mette l’acqua. Diversi germogli spuntano nell’orto.
Ogni tanto sorge un dubbio, un pensiero. Che effetto farà incontrare dal vero le persone e gli amici con cui ho condiviso tutto questo, abituati a vedersi su uno schermo e mai incontrati fino ad ora nella realtà?
Bah. Sinceramente non mi importa mi rispondo. Non vedo l’ora.
Siamo sotto Covid, gli intellettuali latitano come dice con forza Qualcuno (forse ora più che mai ne avremmo bisogno e dei loro profondi dibattiti, o che quantomeno sollevassero dubbi e questioni, che smuovessero le coscienze intorpidite delle persone), ma il Mondo Offeso dalla fondina impugna e sfodera il suo megafono: qui si somministra Cultura e si pratica Arte come sua diretta declinazione.
Arte che irradia il suo pensiero con grande forza e vitalità inaudita.
Arte dal potere aggregante, rivelatore, magnetico.
Arte come risveglio del pensiero critico, forza del mettere in dubbio, rinascita dell’Utopia, fonte di ispirazione per il cambiamento.
L’ Arte non si può forse definire, ma se ha una funzione siamo d’accordo sul fatto che debba mettere in crisi l’uomo, risvegliare le coscienze, mettere in moto il pensiero critico, far nascere dubbi, conoscere altre forme di pensiero diverse dalle nostre, portare alla luce altri mondi, incuriosire e portare a cambiamenti.
Arte nella maniera più nobile.
Un abbraccio forte e caloroso a voi, e un ringraziamento dal profondo per il dono che giornalmente ricevo.
Arte dell’amicizia allo stato più puro.
Per concludere, arrivo a comprendere (con i miei tempi) che ci sono amici che hanno bisogno di essere scossi, motivati e stimolati e amici che ti smuovono e ti fanno riflettere; c’è quello che ti allunga mezza crostata e quello che ti propone l’incontro fugace e clandestino dal macellaio; chi ha bisogno di ricordare che c’è e chi ti ricorda l’importanza di esserci; chi ha necessità di sentirsi amato e importante, chi ti ama e vuole fartelo sentire; chi non sente la distanza perché da per scontata la tua vicinanza e chi si allontana perché troppo vicino non respira; chi condivide emozioni, chi informazioni. C’è anche chi riesce a condividere tutto. Grazie.
Tante le contraddizioni in questo mondo…