LO SFOGO DI UN
POVERO COGLIONE
Da dietro le sbarre d’una galera domestica, con un tocco di voce residuale e con i tappi alle orecchie per non ascoltare la menzognera informazione vomitata sulla pelle della gente, schifato dal buonismo rincoglionito del “ce la faremo” o ancora peggio del “presto tutto tornerà come prima” mi stupisco che ci si rifiuti ostinatamente a mettere in moto il cervello. I nostri “meravigliosi” intellettuali ancora una volta, come se noi, poveri imbecilli, bisognosi di abbeverarci alle loro parole come assetati nel deserto avessimo bisogno d’una conferma, si fanno notare per il loro rumoroso silenzio o, ancora peggio, per le loro cazzate generate dalla loro distanza di anni luce dalla realtà, chiusi nei palazzi dorati delle accademie o negli infettati, questi si, salotti ciarlieri della televisione o dei giornali. Viene voglia d’urlare e d’uscire per strada per spaccare le teste di noi automi umani per vedere se ancora qualche scintilla d’elettricità c’è rimasta. Oppure c’è solo paura e asservimento alle idee del pensiero unico come fossimo tutti quanti degli “stupidi” schiavi? Forse ci piace essere schiavi, forse siamo in preda d’una sindrome masochistica che ci fa desiderare di rientrare nella pancia gonfia d’una madre a cui vogliamo delegare il compito di pensare al posto nostro? Forse. Ma la cosa che più mi fa incazzare è il fatto che proprio quelli che avrebbero tutti gli strumenti per dire qualcosa che rompa questo clima di morte civile latitano, delegano, piangono, insomma non fanno un cazzo per partorire almeno un aborto di pensiero. A chi mi riferisco? A tutti quelli che lavorano, girano nella, frequentano, idolatrano la grande “industria culturale”. Oggi c’è bisogno, invece e più di prima, di pensare. C’è bisogno di pensiero non conformato. Di provare a capire com’è fatto il mondo e come è auspicabile che sia perché non possiamo tornare al prima visto che proprio il prima è il problema.
Dite, dove site finiti tutti quanti?
Voi, scrittori, scrittorucoli, scribacchini, editori, editor, redattori perché non parlate? Siete troppi presi a scrivere, leggere, correggere, editare, promuovere le vostre storie del cazzo sui tormenti amorosi delle figlie della buona borghesia? Siete troppo presi dal frequentare, o pensare di farlo, i salotti letterari per soddisfare la vostra debordante vanità? Siete troppo occupati a pensare come curare relazioni, a leccare il culo, a prostrarvi, a strisciare come vermi dinanzi a chi vi può dare un minimo di visibilità? Poveri imbecilli! Non avete capito che da questa emergenza anche voi ne uscirete devastati? Annullati? Che i vostri sforzi fatti in anni e anni di servilismo saranno stati sprecati? Cosa credete che l’industria editoriale sarà come prima? Verrete presi a calci nel culo, scacciati, lasciati a casa disoccupati a rimirare il vostro inutile ombelico, anche se, a dir la verità, sempre questo avete fatto. Ben vi sta. Potevate pensarci prima.
Voi attori, attorucoli, attoroni, tromboni e aspiranti tromboni, teatranti da strapazzo, drammaturghi, registi perché non alzate perlomeno la mano per dire che ci siete, perché non battete un colpo? Perché non dite qualcosa? Voi che sapete dire perché ve l’hanno insegnato. Siete troppo presi dalla vostra ossessione dell’apparire? Siete troppo occupati a obbedire ai vostri padroni? Siete così “stupidi” da non capire che vi pigliano per il culo? Non vi ha insegnato niente il Teatro? Già ma quale teatro? Siete immersi nella melma del conformismo consolatorio e dell’obbedienza. Vi ricordate cosa diceva Socrate fin dall’inizio? Il Teatro è il perturbante! Oppure non l’avete mai saputo? Oggi, se non tornerete a parlare, a urlare, a far capire, a insinuare dubbi, vi ridurrete a ridicoli buffoni senz’anima, senza cuore, senza cervello e, presi dal vostro nauseante narcisismo tecnico e performante, ripeterete solo parole suggerite da altri. Vergognatevi! Voi siete morti mentre il Teatro è vita.
Voi insegnanti di ogni ordine e grado o presunti tali, anche voi, perché non profferite parola? Voi dovreste essere il riferimento per le giovani generazioni! E che fate? Continuate a perpetuare il disastro degli ultimi vent’anni. Siete diventati adoratori obbedienti e diligenti del vitello d’oro dell’individualismo e del merito, dell’iper-specializzazione che serve solo al nuovo modello di produzione, dimenticando la Storia e perpetuando l’idea del presente come tempo esclusivo senza futuro e senza alcuna lezione del passato. Avete fallito! Anche voi avete tutti gli strumenti ma ve li siete mangiati, digeriti e poi cagati senza nemmeno averli in minima parte assimilati. Cattivi maestri, ecco cosa siete. Per il vostro silenzio avete tutto il mio disprezzo.
Voi musicisti, spippolatori di corde e soffiatori di fiati, imbrattatori di tele, cineasti, lavoratori dell’arte, e chi ne ha più ne metta, tutti quanti presunti tali, voi che dite senza ritegno e, ancor peggio, con orgoglio che siete il “rifugio dell’anima” perché rimanete muti? Smettete di suonare i vostri flauti, tromboni, violini, smettete di sporcare le vostre tele che non dicono un cazzo, smettete di filmare il niente, e alzate la testa. Quando capirete che l’anima e inscindibile dal cervello, che la coscienza va di pari passo con Behetoven e con Fellini? Che aspettate? Mi fate pena, pifferai del silenzio!
Di fronte a tutti voi, “stupidi” complici non so quanto inconsapevoli, m’esplode la rabbia, una rabbia incontenibile e un odio a cui non so porre rimedio. Ma sbaglio perché i sentimenti dominanti sono la tristezza per il vostro fallimento, la commiserazione per il vostro nulla, lo stupore per il vostro servilismo. In fondo, però, è la coscienza del MIO di fallimento che mi fa male, che mi fa impazzire. Io povero coglione, io che non sono niente, io che non so suonare, recitare, scrivere, filmare, dipingere, insomma che non so fare un cazzo, che, però, nel mio piccolo, ho cercato sempre di tenere accesa una fiammella, seppur fievole, di pensiero, ho fallito ben più di voi perché non ho saputo parlarvi ma… nonostante tutto ancora mi ostino a credere che questo NON sia il mondo migliore che possiamo desiderare.
Pensateci.