E’ INIZIATO TUTTO PER CASO
È iniziato tutto per caso, o forse no. Spinti dalla necessità di non interrompere quello che abbiamo sempre fatto, magari con tempi più dilatati, e cioè costruire un tessuto a maglia stretta formato di persone, idee, confronto, sensazioni, emozioni. Questa volta attraverso uno spazio virtuale, utilizzando quell’unico interstizio consentito da questa situazione balorda. Uno spazio di socialità surrogata, come è stato da voi astutamente definito.
Ogni sera abbiamo scelto una tovaglia diversa su cui apparecchiare la tavola: la letteratura, la filosofia, le questioni internazionali, la poesia, il teatro, la musica, in una sola parola la Politica. Esatto, proprio la politica. Perché sera dopo sera si è solidificato come un monolite l’assunto che ogni pezzo del nostro esistere è un atto in definitiva politico, ed in quanto tale profondamente interdipendente all’agire posto in essere verso l’altro da noi.
Senza gerarchie o iscrizioni preventive nell’elenco dei relatori, si è scelto solo un pretesto da cui partire per poi dare possibilità ad ognuno di noi di esprimere il suo punto di vista. Le posizioni più disallineate, poche ma grazie al cielo ne abbiamo avute, hanno rappresentato l’occasione più ghiotta per smontare i numerosi danni della narrazione egemone del mondo. Ne abbiamo creato uno parallelo di mondo, potenzialmente alternativo, senza una porta d’ingresso da chiudere, costantemente rivolto con lo sguardo verso il fuori. Uno spazio che ha consentito a molti di noi di intendere la condizione di solitudine a cui siamo stati obbligati come qualcosa di innaturale, un affare non certamente umano, anzi l’atto più svilente che si possa immaginare se applicato all’individuo. Una vera e propria repressione esercitata sulla società.
Non è mai stato un puro esercizio di stile. Ci siamo allenati a riconoscere le posizioni statiche del pensiero plasmate da dosi massicce di contemporaneità certificata dai pensatori registrati col marchio ®, quelli con le idee in terapia intensiva.
Un atto preparatorio, ecco cosa ha significato per me quest’incontro serale. La posa della prima pietra di un ponte che rappresenta l’alternativa alle strade ufficiali, un nuovo snodo ferroviario per raggiungere, scusate la volgarità, la felicità. Quella di tutti, non di un singolo. Una volta raggiunta, forse non da noi ma chissenefrega, far saltare in aria i binari morti, abbandonare le zavorre, ribaltare il tavolo. Ci siamo allenati a riconoscere il nemico, disarmarlo con l’esercizio della critica. Abbiamo revocato il diritto di cittadinanza alla prassi della mediazione e a quel gioco perverso della diplomazia. Com’era quella cosa scritta da Sanguineti: esercitare l’odio di classe. Ebbene, non possiamo attendere altro tempo. Dobbiamo dare nome e cognome ai colpevoli, non concedergli più diritto di parola. Ridurli a minoranza e laddove possibile tornare a seminare.
Qualcuno di noi, non ricordo chi, una sera ha affermato che sarebbe il caso di smettere con il qualunquismo esistenziale. Ecco, esattamente questo è l’obiettivo. Costerà delle vittime, avremo delle perdite lungo il cammino, ma tant’è. Ne avremo molte di più se continuiamo ad essere complici con il silenzio, con l’indifferenza verso l’essere umano al nostro fianco. Magari serve solo una scintilla, un No, un non sono d’accordo per innescare una presa di coscienza. Non sarà facile. Non lo era nemmeno prima. Abbiamo il dovere di provarci. Altrimenti compariremo anche noi nell’albo di quei spersonalizzati destini personali.
Non è tutto quello che è successo durante la socialità surrogata di queste sere, sia chiaro, molto altro non vuole comparire sul banco dei testimoni della parola scritta. Importa poco, non abbiamo bisogno di assegnare gettoni di presenza da salotto borghese. I divani li lasciamo agli spettatori.
Ho conosciuto meglio coloro che già conoscevo e incontrato virtualmente persone di cui poco o nulla sapevo e che ora ho solo voglia di abbracciare una ad una appena sarà possibile. Quando man mano compaiono in quelle piccole caselle video, mi rassereno, rendono concreta una nuova possibilità di dialogo da sommare a quelle precedenti. Credo proprio di volergli bene, posso affermarlo senza sentimentalismi.
Non è un commiato questo, tutt’altro. Solo per farvi sapere che mi sono sentito meno solo. Alludo alla solitudine sociale che mi assale quando di botto mi sorprendo tra esseri viventi erroneamente definiti umani, che non pensano ma eseguono.