Ma… da dietro la statua del Nettuno sbuca all’improvviso, con un triplo salto carpiato tutto intorcinato, un cane bastardo spelacchiato che gli azzanna un polpaccio, zac! Melampo, figlio di Mario e Settembrini Antonietta detta Tonia, strilla, urla, impreca alla Madonna e molla la bacchetta da rabdomante che, rotolando, si va a posare sotto la lapide dei caduti della Resistenza, ah! Adesso lui è lungo per terra e si stringe il polpaccio con le mani. Il cane, però, non s’accontenta: gli gira intorno e… abbaia. Sembra indemoniato, aspetta solo il momento buono per terminar l’opra che ha principiato. Allora, in preda ad un attacco di compassione, subito scendiamo dalla mia bella macchinetta. Subito… insomma! Io di corsa ma l’Angelo ci mette una mezz’ora buona. Le sue ali si rifiutano d’uscire e allora lui mi dice senza tanti complimenti
Ehilà, vai avanti tu che a me viene da ridere, ah, ah, ah.
Io corro verso Melampo e cerco di mettermi in mezzo tra lui e il cane arrabbiato. Quest’ultimo, allora, un po’ si calma. Intorno alle mie gambe comincia a gironzolare, abbassa il volume dei suoi guaiti, e, scodinzolando, mi comincia a leccare.
Ma guarda che effetto posso fare ad un cane spelacchiato che aveva tutta l’intenzione di sbranare un bamboccione che con una bacchetta da rabdomante cercava il tempo che ha perduto! Sarà!
Intanto finalmente arriva, ma tutto trafelato, il mio angelo custode con le ali ridotte male e
Non aver paura, ora ci sono qua io. Mi dice.
Se avessi dovuto aspettare il tuo intervento adesso sarei finito dritto dritto al camposanto.
Mi viene da pensare ma non gli dico niente perché sono troppo occupato a scansare le leccate di quel cane che, come per miracolo, è diventato peggio d’un cane bastonato.
Stai seduto! Dice l’Angelo, deciso.
L’animale subito la smette di scodinzolare, abbassa le orecchie e si mette giù a sedere. Allora io colgo la palla al balzo e, senza pensare che un cane non può rispondermi perché gli manca il dono della parola, al quadrupede domando
Perché l’hai fatto?
Invece…
Se lo meritava, dice l’animale con una voce che appare artificiale.
Ma parla!
Esclamo preso dallo stupore e portandomi le mani sulla faccia come a dire
Non ci credo, sono io che sento quel sento oppure per davvero devo farmi ricoverare?
Guardo il mio angelo custode, guardo la gente che intanto lì s’era radunata, guardo l’orologio del comune dove l’ora s’è fermata, guardo il sacrato di San Petronio, i portici di Palazzo Re Enzo e mi spingo fino a quelli dell’Archiginnasio ma non riesco a trovare nemmeno uno straccio di spiegazione. È evidente: sono in totale confusione. Quando
Perché ti stupisci tanto?
Mi chiede il gran buffone con le ali ridotte male dopo il grande tiramento.
Sono io che metto in bocca al cane le parole.
Che fai? Domando.
Si, sono un ventriloquo e, comprendendo il suo linguaggio, faccio da traduttore.
Ma che dici? Imbroglione! Tu capisci il linguaggio dei cani? (Ammesso che ne abbiano uno) Chiedo voltandomi di scatto verso di lui.
E mbèh? Che c’è di strano? Mi risponde. Io ho viaggiato in tutto il mondo e perciò ho imparato molte lingue. Con i cani c’ho messo un po’ ma alla fine, come Totò con gli uccellini, ci sono riuscito nonostante, dal canto loro, non fossero tanto inclini.
Questo è scemo, penso.
E dove si parla la lingua dei cani? Insisto a domandare, tanto per capire dove va a parare.
Dappertutto, tra i cani. Per loro è come l’esperanto, è una lingua universale.
Lascio perdere altrimenti lo prendo a schiaffi e non sta bene schiaffeggiare il proprio angelo custode. Allora me ne vado al bar a prendere un caffè. Ho bisogno di non pensare a quello che ho appena visto ed ascoltato.
Un caffè, per favore!
Subito, signore.
Aridaglie! Ma a chi? Signore sarà lei, come si permette?
Il cameriere ci rimane di merda e sta a lì impalato come se, all’improvviso, fosse stato colpito da un ictus cerebrale. Allora esco di filata (non chiamo nemmeno l’ambulanza. Peggio per il cameriere!) e davanti a San Petronio mi siedo sulla scalinata. E penso. Ma penso a che? Povera mia mente! È affaticata. Non mi viene niente. A quel punto riavvolgo i miei passi e ritrovo Melampo a terra che si tiene ancora il polpaccio morsicato, il cane che sta seduto e l’Angelo che, battendo il piene dall’impazienza, mi dice
Era lungo il tuo caffè, ricominciamo?
Ricominciamo da che? Gli rispondo.
Da dove abbiamo lasciato.
Ecco allora che mi tocca tornare a sentire il cane che parla attraverso un Angelo con le ali posticce che gli mette in bocca le parole.
Che vuoi sapere? Mi domanda il gran buffone, il saltimbanco, il mattacchione.
Perché l’ha morsicato?
Ancora? Sei sordo? Non hai sentito? Te l’ha detto. Mi risponde. Perché se l’è meritato.
E perché? Insisto, io cocciuto.
E il cane attraverso la voce artificiale
Perché doveva ribellarsi! La sua colpa è stata quella d’accettare.
Ha ragione. Conferma il saltimbanco dalla tunichetta rosa e le scarpe rotte eppur bisogna andar.
A dir la verità, adesso che ci penso, anche a me sembrerebbe una cosa naturale. Come si fa ad accettare quelle condizioni da negrieri?
Pare facile a te! Risponde Melampo che ancora si tiene stretto il polpaccio con le mani. Che avrei potuto fare?
Ecco che allora il cane bastardo tutto spelacchiato si rizza, spicca un altro salto mortale e zac! sferra un morso micidiale sull’altro polpaccio ancora sano.
Ahi, ahi, ahi! Grida Melampo rotolandosi per terra.
Ma che t’ho fatto? Gli urla dietro.
Ancora insisti? Gli risponde il cane prima di tornarsene a sedere. Avresti potuto andare al mare, mica è obbligatorio lavorare! Non avresti perso tempo.
Il tempo? Ma io lo sto cercando. Gli risponde, per scusarsi, Melampo piagnucolando.
Non dovevi fartelo fregare. Lo rimprovera, severo, anche il mio angelo custode.
Poi, quest’ultimo, si ferma, ci pensa su, si vede che non riesce a capire, e riprende a dire
Ma che lavoro è il tuo? Io non l’ho mai sentito e in quale fabbrica si fa? E dove sono i tuoi compagni di lavoro?
Fabbrica? I compagni di lavoro? Domanda Melampo che sta ancora steso a terra. Chi l’ha mai visti? Dove sono? Non l’ho mai avuti.
Non è possibile, gli ribatte l’angelo custode. L’hai cercati? Insiste.
Chi? Se t’ho detto che non li conosco, forse sono tutti usciti. Io penso per me e non accetto caramelle dagli sconosciuti. Che beneficio ne potrei avere?
A queste parole il cane si produce in un altro salto e senza alcuna compassione gli da un morso sul capoccione. E poi dice
Tu non capisci niente, oh bamboccione!
Ma guarda questo! Esclama rincarando la dose il gran buffone. E la classe? L’hai rinnegata? Allora ti meriti quello che t’è capitato.
A questo punto Melampo, nonostante sia tutto ciancicato, non ce la fa più e stavolta si ribella
Ma tu chi sei? Che vuoi da me? Dice. Che ne sai? Sei solo un saltimbanco. Ti sei mai guardato? Con quella barba, con quella ridicola tunichetta, con quelle scarpe rotte… vedi un po’ di andar!
E continua
Smetti di rompermi i coglioni e fatti i cazzi tuoi.
E tanta è l’incazzatura del ragazzotto che anche il dolore subito gli passa, si alza, raccoglie la bacchetta e, tutto morsicato, se ne va a cercare il tempo che ha perduto. A quel punto, come tre coglioni, noi rimaniamo lì impalati: il cane bastardo che sta seduto non sapendo più chi morsicare, io che, con la bocca spalancata, cerco di arieggiare il mio cervello e l’Angelo che, facendo l’indifferente, cerca di sistemarsi le ali tutte stropicciate.
Riprendiamo il nostro viaggio, allora dico per rompere l’imbarazzo.
Vengo anch’io. Mi implora il cane spelacchiato.
Io lo guardo, penso alle sue pulci, penso alla mia bella macchinetta tutta linda e benedetta e sono pronto a rispondergli un no più che risoluto.
Salta su. Invece gli dice l’Angelo.
Tanto per cambiare non ho il coraggio d’obiettare. Allora il cane puzzolente si sistema nel baule ed io cerco di consolare la mia due cavalli che mi lancia occhiate di disapprovazione.
Sopporta, per favore, vedrai che alla prima occasione mi libero di tutti e due. Le dico in un orecchio.
Ma dall’espressione corrucciata dei suoi fanali capisco che non ci crede. Allora cambio discorso e le dico
Dai, ricominciamo ad andare.