Finito l’intervallo e terminata l’insopportabile sigla d’apertura riconquisto la mia posizione corretta dopo la temporale piroetta, alè! Sono ormai giunto all’altezza del ponte sul Po di Volano, a pochi chilometri da Ferrara. Il mio angelo custode, per fortuna, s’è appisolato. Come un passero stremato ha messo la testa sotto l’ala e adesso russa da far paura. Da sopra il ponte volto lo sguardo e, sul fiume, vedo una donna con un setaccio. È immersa fino al ginocchio nell’acqua bassa. E, piegata a novanta gradi, filtra l’acqua con quello strumento inconsueto, almeno per queste terre dove l’oro si può trovare solo nelle oreficerie. Porta una maglietta a maniche corte d’un colore che… meglio la morte! Dall’ampia scollatura si vedono due tette sode che sballonzolano senza alcuna costrizione. Ecco che allora sono preda d’una istantanea erezione, zac! Mi vergogno, divento rosso, le tolgo lo sguardo di dosso, penso a qualcos’altro, recito un ave Maria (che, però, io non conosco), dico alla mia auto d’affrettare il passo, cerco di riconsiderare il valor dell’astinenza, ma che pazienza! Non s’attenua l’erezione! Allora guardo in alto, di lato, in basso, chiudo gli occhi ma sto guidando quindi di più non posso, penso al Mato Grosso, ad un magazzino di vendita all’ingrosso, ad un albero di bosso…
Attenta che c’è un fosso!
E dico che quello che mi capita, per come sono fatto, è un vero e proprio paradosso. Quando credo che l’anomala eccitazione mi sia passata e possa riprendere la mia strada senza grilli per la testa ecco che inchiodo, accosto su una piazzola, scendo senza nemmeno chiudere la portiera, scavalco la barriera, e, senza dire una parola, mi scapicollo giù verso il fiume di gran carriera.
Uff… Ma che fatica!
Mi fermo al limite dell’acqua ma quelle tette che mi ballano proprio in faccia per me sono ancora una vera e propria calamita. Ma non accetto d’essere condannato ad una erezione da altri comandata e allora mi getto nell’acqua fredda tutto vestito, splasch! Quando riemergo, finalmente il mio sesso s’è ammosciato.
Era ora! Dico.
Adesso devo stare attento a dove mettere lo sguardo. Non voglio più cadere nelle grinfie di quelle tette che, nemmeno fossi un bambino dispettoso, mi prendono per le orecchie.
Che stai facendo? Domando alla donna.
Quella, senza abbandonare la posizione
Tu chi sei? Mi risponde. Che vuoi da me?
Tralascio la sua maleducazione e insisto
Che stai cercando?
Ancora?
Si, ancora.
Il mio talento, mi risponde indispettita, così, tanto per farla finita.
Ed io che credevo che stesse cercando l’oro!
Scommetto che qualche essere sovrumano te l’ha rubato. Le dico.
Brutto sgorbio tutto bagnato e per di più col pisello raggrinzito che ti stai inventando? Mi risponde. Quale essere sovrumano? Dove l’hai visto? L’ho perso, l’ho perso e basta.
Senti principessa sul pisello, allora le ribatto a brutto muso, abbassa la cresta e comportati come si conviene tra persone normali. Chi ti credi d’essere? Non ti vedi? Come una qualsiasi disperata sei nell’acqua fino alle ginocchia per cercare il talento che hai perduto!
Lei rimane sorpresa, non connette.
Ma come si permette? A quel punto penso che lei pensi.
Infatti… ha sempre creduto che la sua forza stia nelle tette e pertanto si meriti rispetto. Intanto m’ha raggiunto, dopo qualche ruzzolone sull’argine scosceso, il mio amico saltimbanco. Come un uccellino appena svegliato è tutto arruffato e, con gli occhi ancora impastati dal sonno, mi dice
Perché mi hai mollato sull’automobile da solo?
E che sono il tuo angelo custode? Gli rispondo, seccato. Tu russavi che sembravi una macchina a vapore!
Ma poi, liberandomi da quella fastidiosa distrazione alata
E il tuo talento? Torno a domandare alla pulzella con le tette al vento.
L’ho perso. Mi risponde, senza che nemmeno si accorga che adesso sono in compagnia.
Com’hai fatto? Insisto.
C’è poco da indagare, da un momento all’altro mi sono ritrovata senza.
E così dicendo il suo volto si segna d’un velo di tristezza. Allora, preso da un inspiegabile attacco di tenerezza
Come ti chiami ragazza mia senza talento?
Mi chiamo Teresa ma tutti mi chiamano Tesoro.
E dimmi, Teresa che tutti chiamano Tesoro, come te ne sei accorta che ne eri rimasta senza?
Lei di nuovo sbuffa come a dire che cazzo vuole questo qua, ma poi dice rassegnata
Lavoravo per una maison di moda, Volta e Gabbana, e mi occupavo del marketing e della comunicazione aziendale.
Sai che bello!
Commento non senza una certa dose di sarcasmo mentre nel volto del mio angelo custode vedo sbocciare un grande punto interrogativo (Che lavoro sarà?). Non l’avessi mai fatto! Quella s’offende, si gira dall’altra parte e assume un atteggiamento superiore e altero.
Torna a terra, Tesoro! Subito la stoppo.
Lei rientra nelle file non senza qualche bisbetica rimostranza e continua a raccontare.
Io ero felice perché davo libero sfogo alla mia creatività: organizzavo party e partecipavo ad eventi trendy, frequentavo vip e tanti dandy, la sera un happy hour e poi un bel massaggio in beauty farm.
Che faceva questa qua? Mi chiede, allora, Carletto che non aveva capito quello che aveva detto.
Ma io non gli rispondo. Invece
Sai che soddisfazione! Esclamo verso la donna col setaccio. Contenta tu, Tesoro.
Si che ero contenta, mi sentivo realizzata. Continua. Venivo sempre invitata.
E, scommetto, che la serata finiva a letto. Insisto.
Dove?
Chiede ancora l’angelo custode ma… ancora una volta nessuno se lo fila.
Qualche sera capitava ma solo con le persone più importanti. Teresa mi risponde.
Questa cosa (e non perché sono un bacchettone) subito mi fa incazzare
Certo, con chi ci vuoi finire? Allora sbotto. Col figlio del droghiere?
E chi è? Non lo conosco.
Già, chi è? Chiede anche il mio compare che, come al solito, non aveva capito di cosa stavamo a parlare.
Lascia perdere Tesoro, non ci pensare. E ti pagavano?
Certo, una simbolica parcella di prestazione occasionale.
Prestazione occasionale? E che è?
Domanda di nuovo il saltimbanco che, si vede, è proprio disorientato. Adesso mi ha stancato
Zitto! Gli ordino. E lasciami parlare.
E tu? Chiedo a Teresa.
Ero alle stelle.
Come volevasi dimostrare! Penso.
Allora vedo Teresa che tutti chiamano Tesoro con i pensieri che vagano nel vento. Ripensa, estasiata, alla sua vita passata. Ripercorre le strade del suo effimero successo.
Sai che bello! Torno ad esclamare.
Quella mi guarda storto e, sospettando già da un pezzo qualche cosa…
Che mi prendi per il culo? Mi domanda.
Si Tesoro che stai in mezzo al fiume a cercare il tuo talento. Adesso sei disperata ma non lo capisci che eri felice e sfruttata?
Intanto il saltimbanco, sempre più stranito, s’affanna in tutte le maniere per capire almeno una parola di quello che aveva sentito. S’agita, si spreme, si sbatte. Fuma dalle orecchie. Consulta un’enciclopedia, chiede pareri ai suoi amici cherubini, fa un’interpellanza parlamentare. Non è credente ma arriva persino a domandare spiegazioni anche al prete sull’altare. Ma… niente.
Non ci riesce. E allora si getta in acqua e si mette a nuotare.
Ma guarda, dico, fila come un pesce!