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La pandemia e il bisogno di comunismo

L’ Amicizia nel Covid

Cambiamenti da distanziamento

Introduzione sul contesto.

Sono nato, cresciuto e abito un paese con una decina di migliaia di anime ( contando anche le piccole frazioni) in espansione perpetua grazie alla sua vicinanza dalla Città e al suo essere ai piedi di colline, nei pressi di campagne, parchi pluviali e boschi. Da qui, ogni luogo carico di fascino e attrazione è raggiungibile comodamente nell’arco di un’ora/un’ora e mezzo (le Cinque Terre, la Toscana, l’ Appenino, la Montagna, le Alpi, Milano, Bologna), a pochi chilometri dalla via Emilia e tappa della via Francigena.

P.S. Maria Luigia (Quella Maria Luigia) è stata qui!!!

Sono figlio di Immigrati Lui, figlio di contadino e macellaio, abbandona l’idea di diventare medico come forma di riabilitazione sociale e per inorgoglire il suo Vecchio , corre l’anno 1968, c’è fermento e profumo di rivoluzione su al Nord, e inoltre sarà più semplice trovare lavoro Lei lo segue dopo un pò, ha fatto le magistrali e già a 17 anni può lavorare negli asili.

A fine anni Sessanta erano i Meridionali, i terroni, a essere bersaglio dell’odio razziale italiano. Venite a rubarci il lavoro, statevene a casa vostra (parole che hanno comunque resistito negli anni, cambiando di volta in volta il destinatario). Questo odio solo nei Novanta ha lentamente incominciato a spostarsi sugli Albanesi, poi sui Nordafricani, sui Romeni, e via discorrendo arrivando ai barconi dei giorni nostri. Ma un pochettino, per i più nostalgici, il disprezzo verso il Terrone rimane comunque ancorato e ben saldo al cuore, come un richiamo ancestrale. “Terò d’merda!”, un’esclamazione di felicità, che porta con sé la volontà di insultare e ferire.

Sinceramente non capivo, ero nato lì. I miei forse lo erano, ma non capivo comunque che c’era di male ad essere Amanti della Terra. o almeno, mio padre mi diceva che quello significava.

Fortunatamente da bambini/adolescenti erano pochi i soggetti che praticavano questa prassi dell’insulto quotidiano e venivano stigmatizzati. Ma quando nelle giovani diatribe gli animi si surriscaldavano il colpo di grazia trasportato con rabbia, la stoccata finale che sapeva bene essere indirizzata verso corde specifiche, rimaneva universalmente la stessa, per razzisti e non. “T’si noterò d’merda”.

Devo ammettere però, nonostante la piccola croce che mi portavo addosso, di essere stato baciato dalla Fortuna. Ero un bel ragazzino (avevo tutti quanti i capelli) , magro, intelligente quanto bastava (cresciuto con due fratelli di dieci anni più grandi, mi capitava spesso di arrivare prima), tra i migliori della mia età nel giocare a calcio e richiestissimo sul piano sentimentale. Tutti quanti i crismi per vivere serenamente i rapporti con i coetanei erano presenti. Onestamente, non oso immaginare quale relativo Inferno avrei dovuto passare se fossi stato Terrone, grassottello, brutto e incapace di giocare.

Grazie a queste “qualità” che in qualche modo controbilanciavano l’essere fondamentalmente stronzetto, prepotente e terroncello, richiamavo attenzioni attorno a me, nascevano i gruppi, le “compagnie” le cui dinamiche di crescita penso vadano a determinare in larga parte ciò che sarai da grande.

La mia Compagnia.

La mia è stata una grande Compagnia, una presenza costante nella mia crescita; sei obbligato al confronto con l’altro, modelli i tuoi limiti e impari a stare al mondo. Presenza costante e onnicomprensiva: nella formazione scolastica, nelle confidenze amorose, negli incontri a discutere su fatti di attualità, nel calcio, nella vita di tutti i giorni, nei pomeriggi interminabili che finivano sempre troppo presto, nelle vacanze nella mia (o dei miei) Terra di origine in una decina tutti rigorosamente in due in scooter, nelle notti a disquisire e compartecipare alla nascita sogni rivoluzionari e a cantare sotto i dormitori delle suore dell’Asilo “Don Chisciotte” e “L’Avvelenata” in uno stato di bipolare ebbrezza (da alcool/fumo e pura, candida felicità condivisa), ai concerti di Bandabardò e MCR, ma soprattutto nella buona e nella cattiva sorte; una specie di matrimonio, una numerosissima famiglia che crea il mondo fatto su misura per te. A vent’anni, nel mio personale periodo di isolamento forzato dal Mondo, loro erano li con me, a turno, ma c’erano.

Definizione amicizia.

La grande Enciclopedia recita così:

AMICIZIA. Vivo e scambievole affetto fra due o più persone (in maniera disinteressata), ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima.

Inverno 2019. Una situazione di sconforto stagnante si perpetrava già da tempo (a trentadue anni ero l’unico a essere rimasto senza compagna), avevo bisogno di più tempo con loro, senza pretese di qualità, solo la loro presenza che sentivo mancare. Chiaramente, ognuno era “troppo preso” dalla propria vita (come probabilmente lo ero io mentre convivevo con Lei, anche se onestamente non mi sembra di aver trascurato nessuno in quel periodo). Rare le occasioni di ritrovo estemporanee, costanti invece le “classiche” affettate serate di Venerdì (cena fuori prestissimo, grande partecipazione degli amici con figli) e Sabato (sempre cena fuori/partita o “magari in seconda serata”).

Faccio il pizzaiolo il fine settimana, cerco di finire il prima possibile per correre da Loro, la maggior parte si è già defilata. Bevo una birretta da solo al pub, due chiacchiere con il/la barista e a letto.

In questo periodo, dall’8 Marzo, sono rimasto solo in casa, l’unico della Compagnia. Tutti gli Altri convivono (chi con figli, chi senza) o vivono con i genitori. Mia Madre mi accompagna in ogni situazione in cui mi prendo cura di me. Mentre vedo un film seduto al mio fianco sento mio Fratello, o mia Sorella se guardo “Mistero Buffo”.

Ho un giardino e un orto; non sono persone, ma compensano la loro mancanza nella pratica quotidiana che necessitano e nelle evocazioni che emanano me le fanno sentire più vicine Mio padre mentre zappa G. che mi viene a trovare e in preda allo sdegno che prova per me quando l’erba cresce troppo mi insulta e taglia il prato.

Attraverso la fortuna di poter vivere la Natura guardo il Sole e mi vedo con Loro a Monterosso come tutte le Pasquette, vedo mia Sorella nelle farfalle, mio Fratello e mio Padre mentre trapianto nuova vita nell’orto, mia Madre quando dò da bere ai fiori, rivivo l’Amore quando osservo commosso la luna piena del 7 Aprile.

Ma ho bisogno di Loro. Non mi limito più a lanciare segnali, soffro e senza paura di discutere o ferire qualcuno espongo le mie questioni con un lungo messaggio su un gruppo Whatsapp:

“premetto: sto bene, nessuna patologia ha preso il sopravvento su di me.

Nessuno sente l’esigenza di condividere qualche momento in più di socialità?

Apro questa mia, che non vuole essere una polemica ma uno spunto di riflessione, con questa domanda. Confesso che una parte di me è imbarazzata, “se nessuno si pone il problema, evidentemente non lo è”. Sono passati 24 giorni, e probabilmente altrettanti ne passeranno. Giorni in cui non ci si è visti, se non virtualmente, per i nostri dieci minuti di scambio di battute giornaliero. Raro momento di emozione nell’arco delle 24 ore, che attendo sempre, non in “trepidante attesa”, ma quasi. Sicuramente ho più tempo a mia disposizione di altri. E ho un carattere critico e riflessivo. C’è più tempo per riflettere una volta azzerati i contatti sociali, dai quali in qualità di esseri umani dipendiamo.

Sono anche, credo, schietto e chiaro nel mio rapportarmi agli altri, e soprattutto con chi reputo più vicino a me, a costo di risultare o essere additato come pesante. È da tempo ormai che provo a lanciare segnali, a volte colti, altre no, in cui cerco di esprimere (compatibilmente con le singole necessità) un mio personale bisogno (quello verso il sesso femminile non ho mai faticato ad esplicitarlo). Un bisogno che nasce forse dal mio modo diverso di vedere e interpretare la realtà, non lo so, ma è una cosa che sento e che altro non è che cercare di passare più tempo con voi. Non mi permetto di mettere in discussione la qualità del sentimento di amicizia che ognuno di noi prova per l’altro. Ma vi confesso che ultimamente era, e forse adesso più che mai, diventato frustrante. Non metto in dubbio nemmeno la purezza delle azioni e delle scelte che ognuno fa in questo frangente, perché capisco benissimo che ognuno è diverso con modi di sentire e di esprimersi diversi. E sono anche convinto, che in caso di grandi difficoltà ognuno farebbe di tutto per far star bene l’altro, come abbiamo sempre dimostrato. Penso anche, se mi è concesso, che i rapporti si formino e si rafforzino nelle piccole cose, e non solo dai grandi gesti nelle situazioni estreme. Se fosse necessario che uno stesse male per sentire amichevole solidarietà e caloroso supporto mi sembrerebbe disvelato un rapporto tendenzialmente ipocrita. Quello che mi chiedo quindi è: a voi va bene così, e non sentite quello che sento io?

Nel caso, spero nessuno si senta turbato o offeso, aspetterò un vostro pensiero, ci ripenserò e ci rifletteró di nuovo.”.

Piccola discussione e confronto. Mi rincuora.

Ma passano i giorni e le cose nei fatti non cambiano, nessuno è disposto a pensare a come poter passare qualche ora di tempo insieme. Non chiedo discussioni forbite, confronto di pensieri (richieste inammissibili o quasi) ma un qualsiasi gioco, che mi dia l’illusione di essere insieme, come siamo sempre stati.

Decido di tornare sotto, questa volta colpendo e ferendo, metto in dubbio valori e sentimenti. Voglio che aprano gli occhi, non può essere una scusante per tutto il contesto di vita nel quale si è cresciuti o nel quale si vive ora.

Come possono non sentire la distanza? Come può bastare una videochiamata di gruppo col telefonino mentre si lavora al pc?

Viene proposto un risiko, finalmente, sabato siamo stati insieme dalle 21 30 fino alle 4.30. Dopo più di un mese in Quarantena. C. “si attacca” con gli amministratori del gioco nella chat, viene bannato, crea altri due account. Non mi divertivo cosi da non so quanto tempo, piangevo e stavo per farmi la pipi addosso.

Ringrazio tutti, anche loro non si divertivano cosi da tanto. Forse, grazie a me.

Stasera, mercoledì, giochiamo ancora.

Nuove amicizie.

Qui si apre un altro capitolo.

Ottobre 2016. Sono nuovo, dal “paesello” muovo verso la grande Milano. A lezione una professoressa mi dice di cercare un testo nella libreria che sta in piazzale San Simpliciano, cercando La Dottoressa Ligresti.

Trovato Il Mondo Offeso (che strano nome per una libreria, penso). Entro.

Buongiorno. Buongiorno.

Cercavo la Dottoressa Ligresti, mi manda una professoressa dell’Accademia.

La donna che ho davanti scoppia in una dolce, contenuta e imbarazzata risata che difficilmente riesce a sopprimere mentre chiude gli occhi (risata che da subito imparo ad amare, è un sorriso totale, dal cuore, dall’anima e di tutto il volto, che trasmette felicità come poche altre cose al mondo), mentre prova a chiedere scusa. Sono leggermente in difficoltà, di cazzate ne dico, ma questa non la sembrava.

Cosi, conosco Laura. Conosco Nati, un’altra anima sempre sorridente calda e accogliente (fate attenzione, è una droga che crea fortissima dipendenza). Conosco Marco. Ecco, lui il sorriso lo tiene per le occasioni speciali, come in una cantina si conserva il mitico Dom Perignon del ’47, “Che ci fai qui” e “Che vuoi” i suoi Buongiorno e Buonasera, ma sono convinto sia il suo modo di dirti “ti voglio bene” (anche questo imparo in fretta ad amare, nelle giornate più grigie come in quelle più serene, non potete capire la soddisfazione e il piacere che si provano nel punzecchiarlo e provocarlo, o forse è una pratica condivisa?).

Conosco quindi il Mondo Offeso. Quello che sarà il (forse unico) luogo in cui mi sento a Casa, un rifugio di bellezza, la mia Vera Casa a Milano. Il salto è breve, diventano Famiglia.

Attraverso questo Mondo incontro altre persone Offese, e la rete con grande piacere si allarga, arrivando fino all’ 8 marzo 2020.

E’ da un pò che non vado a Milano, e sento la mancanza di Quel Mondo, ma nonostante fuori sta per scatenarsi un putiferio arrivano buone notizie dal Mondo Offeso.

NOI SI RESISTE.

Incontri giornalieri di socialità ahinoi surrogata, è l’unico modo. E con immenso piacere partecipo. Non posso abbracciare Laura e Marco (Lascia perdè) ma li sento vicini, con una costanza mai avuta prima. Musica, Letture, Teatro, approfondimenti, attualità, Astronomia, Filosofia, Politica, Scienza, dibattiti, scambi. Insomma, somministrazione di cultura che nessun Dottore prescrive (ora capisco a cosa si riferiva la prof quando mi disse di chiedere della Dott.ssa Ligresti). Ma soprattutto, condivisione e socialità. Rivedo con estremo piacere alcuni volti della Libreria, gli amici di Quel Mondo, e altri volti ancora sconosciuti. Come direbbe Laura, quanta bellezza.

Il Sole c’è. Il terreno è fertile. Tutte le sere buttano lì un seme. Noi si mette l’acqua. Diversi germogli spuntano nell’orto.

Ogni tanto sorge un dubbio, un pensiero. Che effetto farà incontrare dal vero le persone e gli amici con cui ho condiviso tutto questo, abituati a vedersi su uno schermo e mai incontrati fino ad ora nella realtà?

Bah. Sinceramente non mi importa mi rispondo. Non vedo l’ora.

Siamo sotto Covid, gli intellettuali latitano come dice con forza Qualcuno (forse ora più che mai ne avremmo bisogno e dei loro profondi dibattiti, o che quantomeno sollevassero dubbi e questioni, che smuovessero le coscienze intorpidite delle persone), ma il Mondo Offeso dalla fondina impugna e sfodera il suo megafono: qui si somministra Cultura e si pratica Arte come sua diretta declinazione.

Arte che irradia il suo pensiero con grande forza e vitalità inaudita.

Arte dal potere aggregante, rivelatore, magnetico.

Arte come risveglio del pensiero critico, forza del mettere in dubbio, rinascita dell’Utopia, fonte di ispirazione per il cambiamento.

L’ Arte non si può forse definire, ma se ha una funzione siamo d’accordo sul fatto che debba mettere in crisi l’uomo, risvegliare le coscienze, mettere in moto il pensiero critico, far nascere dubbi, conoscere altre forme di pensiero diverse dalle nostre, portare alla luce altri mondi, incuriosire e portare a cambiamenti.

Arte nella maniera più nobile.

Un abbraccio forte e caloroso a voi, e un ringraziamento dal profondo per il dono che giornalmente ricevo.

Arte dell’amicizia allo stato più puro.

Per concludere, arrivo a comprendere (con i miei tempi) che ci sono amici che hanno bisogno di essere scossi, motivati e stimolati e amici che ti smuovono e ti fanno riflettere; c’è quello che ti allunga mezza crostata e quello che ti propone l’incontro fugace e clandestino dal macellaio; chi ha bisogno di ricordare che c’è e chi ti ricorda l’importanza di esserci; chi ha necessità di sentirsi amato e importante, chi ti ama e vuole fartelo sentire; chi non sente la distanza perché da per scontata la tua vicinanza e chi si allontana perché troppo vicino non respira; chi condivide emozioni, chi informazioni. C’è anche chi riesce a condividere tutto. Grazie.

Tante le contraddizioni in questo mondo…

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RESISTENZA O RESILIENZA? – Giorgia Pizzuti

RESILIENZA E PROATTIVITA’

Quale momento migliore di quello che stiamo vivendo per chiamare all’appello due geniali capolavori della moderna ingegneria linguistica. I due fulcri di ogni discorso aziendale e accademico almeno dell’ultima decade. Signori e signore ecco a voi in tutto il loro splendore: la proattività e la resilienza. Applausi scroscianti.

I concetti prediletti dalla vulgata contemporanea per delineare quelle caratteristiche essenziali del vivere moderno, il nuovo habitat cognitivo del nuovo attore sociale nell’epoca della sua riproducibilità disumana. I due dadi che sbancano il tavolo. Magistrale esempio di come si possa colonizzare il linguaggio, trasformandolo nel principale strumento di addomesticamento della realtà e delle menti.

La proattività parrebbe quella caratteristica che consente di anticipare i cambiamenti di un dato contesto in modo da non farsi trovare impreparati e anzi trarre il massimo vantaggio nell’anticipare il potenziale negativo di una situazione che muta. Prevede una forte dose di intuizione e creatività nel prendere quelle decisioni giuste e necessarie. Per alcuni addirittura il contrario, per molti la versione evoluta, della reattività, troppo novecentesca per restare fuori dal baule delle cose vecchie. Non si dica che l’uomo del terzo millennio resti a guardare nel mentre gli passa davanti il cambiamento. Santi numi che pena mi fate, dice una canzone. Insomma, per semplificare, potremmo affermare che la proattività è quella capacità atta a non farsi sorprendere dal cambiamento ma domarlo prima ancora che si palesi. Bene, non è finita. Se non si riesce ad attivare in autonomia questa risorsa dormiente che naturalmente ognuno ha già installato nel proprio sistema operativo, ci si può comodamente rivolgere agli esperti del settore. Coloro che non si sa bene il perché, forse forgiati da un vissuto che gli ha permesso di cambiare canale prima che si spegnesse la tv, detengono la chiave di attivazione di questa qualità per tutti coloro che ne hanno bisogno. Parlo dei life, mental, business, executive coach. L’aberrazione semantica di quarta generazione. Gli Osho della nuova agorà capitalistica. Dopo aver abolito la società a favore dell’individuo, arriviamo alla pura astrazione dell’umana capacità di essere agente portatore di cambiamento a favore della collettività. Consolidando sempre di più la convinzione che ciò che ci circonda non dipende da un agire collettivo consapevole, non esiste un corpo sociale e un pensiero sociale che determina le condizioni che fanno da sfondo alla vita di ognuno di noi, condizionandone l’orientamento esistenziale. Nulla di tutto questo. D’altronde ciò che ci circonda non dipende certo da noi. Si è solo ospiti che con cortesia e riverenza possono al massimo ambire al ruolo di uscieri e mai a padroni di casa. Giusto? Se sì andare al punto successivo, se no ripassare le videolezioni del coach.

Il capolavoro lo si raggiunge con l’altro compagno di viaggio, la resilienza. La resilienza, nella tecnologia dei materiali è la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, l’inverso dell’indice di fragilità. Quindi mutuando questo significato per applicarlo alla psicologia umana, per evitare di rompersi come un delicato cristallo, la sola alternativa è acquisire le competenze per non frantumarsi al minimo urto. Limpido come acqua di sorgente: se proprio non si riesce a sorprendere il cambiamento, quello esclusivamente negativo altrimenti crollerebbe l’intero castello, non resta che imitare un materiale a scelta nel catalogo, prepararsi all’impatto e sperare di aver letto bene il bugiardino della Resilientina 100mg, prima dei pasti due volte al dì per 10gg.

La resilienza viene presentata come quella capacità di assorbire e ristrutturare i fallimenti, considerandoli inevitabili tappe verso il successo. Insomma degli intoppi, sempre per nostra responsabilità, che semplicemente fanno prendere una traiettoria imprevista all’esistenza. Ma non bisogna mollare, si deve essere più testardi degli eventi, perché in fondo al tunnel la luce della propria vittoria (di che cosa, non deve interessare) è sempre visibile e prima o poi, costi quel che costi, la si raggiunge. Non importa se sul cammino si è costretti ad un po’ di disonestà e prevaricazione a scapito di qualche altro essere umano meno resiliente. Vittime collaterali di cui non tenere nemmeno il conto. L’importante è non perdere di vista la propria meta, il traguardo che conduce alla felicità eterna, declinata al singolare e non sia mai al plurale. Anzi, se proprio si rende necessario spartirla un po’, bisogna farlo solo in funzione di una ragione strumentale al proprio scopo. Se proprio non si può evitare, condividerla il tempo utile per avanzare di qualche metro nel tunnel, come un minatore che avanza cauto senza piccone ed armato solo di carriola per raccogliere il materiale di risulta. D’altronde un po’ di egoismo non ha mai ucciso nessuno, figuriamoci la pratica della resilienza.

Questo è il motto della classe dirigente: resilienti e proattivi di tutto il mondo sparpagliatevi e diffondete il bacillo del nuovo rinascimento linguistico. Non opponete resistenza altrimenti vi verrà tolto anche quell’esiguo diritto di partecipare alla partita (in differita solo per voi). L’unico verbo con facoltà di coniugazione è perdere, non senza averci provato. Dovete interpretare il ruolo della squadra materasso del campionato ma senza darlo troppo a vedere, con dignità accompagnare il pallone nella vostra porta e esultare come se foste voi ad essere passati in vantaggio. Attenti, non bisogna umiliare il più forte, il fischietto è nelle sue mani non nelle vostre.

LA SEGMENTAZIONE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Il coronavirus, così microscopico, ha avuto la forza di dividere il mondo in due. Non tra ricchi e poveri perché questa è una banalità bensì tra quelli “#siamo tutti uguali” e “#andrà tutto bene” e quelli che “mai più come prima perché il problema è il prima”. Insomma tra quelli che non vedono l’ora di tornare alla vita di prima e quelli che provano a pensare come poter vivere meglio perché prima era una vita di merda.

Vediamo chi sono i primi.

Innanzi tutto i RETORI.

Quelli che gli si gonfia il cuore ascoltando l’inno nazionale e che espongono gli stracci tricolori alle finestre, che si commuovono suonando pentole dai balconi, che piangono dell’eroismo di medici e infermieri, che cantano bella ciao dalle finestre. Hanno la commozione facile e il loro Dio è il luogo comune.

In secondo luogo i RICCHI.

Loro si salvano sempre. Sono quelli che si barricano nelle loro regge in città ai monti al mare, che galleggiano in mezzo al mare stravaccati sulle loro barche alte sei piani, che si fanno consegnare cibo due volte al giorno da qualche negro che fino a ieri “no grazie”, che fanno il test una volta alla settimana (per loro ci sono) perché hanno le entrature giuste o lo fanno nelle cliniche private, che hanno scorte per dieci anni almeno di mascherine e prodotti igienizzanti, che hanno schiavi che preparano da mangiare gli puliscono il culo la casa, gli lavano i panni mentre loro sono stesi sul divano di fronte a uno schermo 6m x 6m attaccato alla parete del salotto grande come un campo di calcio, che non vanno a lavorare perché ci sono sempre altri che lavorano per loro.

In terzo luogo gli STUPIDI.

Loro sono quelli che dicono che prima o poi tutto passerà, che tutto tornerà come prima, che basta chiudersi in casa e aspettare, che bisogna pensare ai cazzi propri, che è meglio per un po’ spegnere il cervello (come se prima ce l’avessero acceso), che è bene arroccarsi nel totem della propria individualità, che non è poi così male leggere un libro, ma allegro per carità!, farsi una suonatina al pianoforte al flauto alla chitarra al trombone al violino al violoncello alla grancassa, aprire un blog dove sparare cazzate, inondare Istragram di autoscatti dove si riprendono in tutte le pose persino quando vanno a cagare, sproloquiare del niente su facebook o passare il tempo che rimane, immagino poco, al telefono con gente persa come loro. Questi sono complici “colposi”.

In quarto luogo gli STUPIDI ARROGANTI.

Questi sono i peggiori. Sono quelli, invece, che credono d’essere i migliori, che si credono i più valenti, che sono sicuri che nonostante tutto riusciranno a fare successo, a raggiungere i propri miserabili obiettivi. Sono i tifosi più accaniti di Charles Darwin. La loro sicurezza li fa diventare ciechi e la loro arroganza sordi. In realtà s’adoperano a leccare tutti i culi che passano loro innanzi, a prostituirsi per un tozzo di notorietà, a servire chiunque che, mentendo spudoratamente, riconosca loro uno straccio di talento. Loro sono pronti a scannare chi gli sta al fianco, a sgozzare chiunque si mette sulla loro strada, a buttare giù dal ponte chi fa loro un po’ di ombra. Questi sono complici “preterintenzionali”, insomma sono colpevoli più dei colpevoli.

E i secondi chi sono? Quelli che si fanno delle domande. Semplicemente.

In mezzo? In mezzo ci sono mille sfumature, mille colori che riempiono lo spazio. È naturale. Ma questo è un momento di crisi. Non c’è verso: o stai di qua o di là, non c’è nessun mezzo che tenga. Nessuno si può astenere. Chi si astiene, come sempre, di fatto ha preso una posizione: quella sbagliata.

La prima mappa del 'lato oscuro' del web. ''Così odio, insulti e ...

E’ INIZIATO TUTTO PER CASO

È iniziato tutto per caso, o forse no. Spinti dalla necessità di non interrompere quello che abbiamo sempre fatto, magari con tempi più dilatati, e cioè costruire un tessuto a maglia stretta formato di persone, idee, confronto, sensazioni, emozioni. Questa volta attraverso uno spazio virtuale, utilizzando quell’unico interstizio consentito da questa situazione balorda. Uno spazio di socialità surrogata, come è stato da voi astutamente definito.

Ogni sera abbiamo scelto una tovaglia diversa su cui apparecchiare la tavola: la letteratura, la filosofia, le questioni internazionali, la poesia, il teatro, la musica, in una sola parola la Politica. Esatto, proprio la politica. Perché sera dopo sera si è solidificato come un monolite l’assunto che ogni pezzo del nostro esistere è un atto in definitiva politico, ed in quanto tale profondamente interdipendente all’agire posto in essere verso l’altro da noi.

Senza gerarchie o iscrizioni preventive nell’elenco dei relatori, si è scelto solo un pretesto da cui partire per poi dare possibilità ad ognuno di noi di esprimere il suo punto di vista. Le posizioni più disallineate, poche ma grazie al cielo ne abbiamo avute, hanno rappresentato l’occasione più ghiotta per smontare i numerosi danni della narrazione egemone del mondo. Ne abbiamo creato uno parallelo di mondo, potenzialmente alternativo, senza una porta d’ingresso da chiudere, costantemente rivolto con lo sguardo verso il fuori. Uno spazio che ha consentito a molti di noi di intendere la condizione di solitudine a cui siamo stati obbligati come qualcosa di innaturale, un affare non certamente umano, anzi l’atto più svilente che si possa immaginare se applicato all’individuo. Una vera e propria repressione esercitata sulla società.

Non è mai stato un puro esercizio di stile. Ci siamo allenati a riconoscere le posizioni statiche del pensiero plasmate da dosi massicce di contemporaneità certificata dai pensatori registrati col marchio ®, quelli con le idee in terapia intensiva.

Un atto preparatorio, ecco cosa ha significato per me quest’incontro serale. La posa della prima pietra di un ponte che rappresenta l’alternativa alle strade ufficiali, un nuovo snodo ferroviario per raggiungere, scusate la volgarità, la felicità. Quella di tutti, non di un singolo. Una volta raggiunta, forse non da noi ma chissenefrega, far saltare in aria i binari morti, abbandonare le zavorre, ribaltare il tavolo. Ci siamo allenati a riconoscere il nemico, disarmarlo con l’esercizio della critica. Abbiamo revocato il diritto di cittadinanza alla prassi della mediazione e a quel gioco perverso della diplomazia. Com’era quella cosa scritta da Sanguineti: esercitare l’odio di classe. Ebbene, non possiamo attendere altro tempo. Dobbiamo dare nome e cognome ai colpevoli, non concedergli più diritto di parola. Ridurli a minoranza e laddove possibile tornare a seminare.

Qualcuno di noi, non ricordo chi, una sera ha affermato che sarebbe il caso di smettere con il qualunquismo esistenziale. Ecco, esattamente questo è l’obiettivo. Costerà delle vittime, avremo delle perdite lungo il cammino, ma tant’è. Ne avremo molte di più se continuiamo ad essere complici con il silenzio, con l’indifferenza verso l’essere umano al nostro fianco. Magari serve solo una scintilla, un No, un non sono d’accordo per innescare una presa di coscienza. Non sarà facile. Non lo era nemmeno prima. Abbiamo il dovere di provarci. Altrimenti compariremo anche noi nell’albo di quei spersonalizzati destini personali.

Non è tutto quello che è successo durante la socialità surrogata di queste sere, sia chiaro, molto altro non vuole comparire sul banco dei testimoni della parola scritta. Importa poco, non abbiamo bisogno di assegnare gettoni di presenza da salotto borghese. I divani li lasciamo agli spettatori.

Ho conosciuto meglio coloro che già conoscevo e incontrato virtualmente persone di cui poco o nulla sapevo e che ora ho solo voglia di abbracciare una ad una appena sarà possibile. Quando man mano compaiono in quelle piccole caselle video, mi rassereno, rendono concreta una nuova possibilità di dialogo da sommare a quelle precedenti. Credo proprio di volergli bene, posso affermarlo senza sentimentalismi.

Non è un commiato questo, tutt’altro. Solo per farvi sapere che mi sono sentito meno solo. Alludo alla solitudine sociale che mi assale quando di botto mi sorprendo tra esseri viventi erroneamente definiti umani, che non pensano ma eseguono.

No, alla Milano Design Week non c'è più la Milano da bere di una ...

MILANO DA…

Che bello da oggi poter ritornare alla vita di prima, vedo fuori un mondo rinnovato, una Milano traboccante di consapevolezza e determinazione nel ripartire più veloce di prima. Tutti rinsaviti, ognuno ha compreso l’unico profondo senso dell’esistenza: L A V O R A R E!

L’unica vera necessità è lavorare e accumulare, accumulare e lavorare. Ah, finalmente lo si ammette. Finalmente dopo due lunghi mesi, divisi tra la fila al supermercato e le statistiche della protezione civile, la riflessione e la comprensione delle cose è giunta al termine, non serve più nascondersi dietro le artefatte necessità del “prima”. Sono venuti tutti allo scoperto, era ora. Una grande confessione collettiva. Quanto è liberatorio sentirli dichiarare candidamente ad alta voce che non ne potevano più di spendere soldi in abbonamenti in prima fila al teatro, per il cinema iraniano in lingua originale, la grande letteratura acquistata secondo l’inserto domenicale Lifestyle del Sole24ore consegnato comodamente a casa propria. Tutti bisogni indotti, spazzati via dall’orgasmo emozionale della scritta hashtag-andràtuttobene. Disegnata e colorata dai bambini, a cui conviene chiarire il ruolo che li aspetta, esecutori sempre decisori mai.

Ho proposto nel mio condominio di sostituire gli striscioni esposti sui balconi con mascherine giganti su cui scrivere: ashtag-AndràTuttoBeneLaProssimaVolta. Forse non l’hanno capita, però ora in compenso oltre al buongiorno e buonasera hanno aggiunto anche buon pomeriggio. La cortesia è l’oppio dei popoli.

Approfittando del cambio di stagione, tutti quanti hanno riposto sull’ultimo scaffale della cabina armadio della quarta casa di proprietà, il mantello pesante della socialità. Non se ne poteva più di dover ammettere che si ha bisogno dell’altro come dell’aria che si respira. Tra l’altro, atto punibile dal 4° maggio 2020 secondo l’art. 629 cp.

Basta con gli stupidi orpelli stile sinistra da passeggi(n)o, come direbbe quel vecchio rincitrullito soprannominato Hazet nel quartiere.

Sono proprio felice oggi, 4 maggio della prima fase 2 della storia del nuovo millennio. Respiro aria rarefatta oggi, sanificata all’ozono secondo le procedure del Ministero della Sanità con protocollo del 27 aprile 2020 n°24482. 85€ + iva per gli amici.

Che si proceda pure allo scioglimento ufficiale del circolo culturale del mondo da tavolino preserale in Corso Como, rigorosamente prenotato attraverso l’app siediMI, si capisce.

Che cominci la ricostruzione delle anime secondo il tempo ritrovato del padrone.

Che Milano traini il resto del paese come non ha mai fatto.

Tanto si sa:

Milano rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore.

Milano è positiva, ottimista, efficiente.

Milano è da vivere, sognare e godere.

Milano da bere.

Tra mitologia e creatività: la Bologna sottoculturale degli anni ...

POTREBBE CAPITARE

Potrebbe anche capitare che tu, lettore ormai intontito, giunto al termine di tanto arduo e faticoso periodo di reclusione, ci voglia domandare, a me come a tanti altri, come ne siamo usciti da quegli anni, quelli caldi del ‘900. Potrebbe capitare. Potrebbe anche capitare, però, che noi fossimo un tantino reticenti, che cercassimo di scansare la risposta, che facessimo, insomma, come ci capita da un po’ di tempo, orecchie da mercante. Potrebbe capitare che dopo un lungo tira e molla, a fronte delle tue insistenze, ci decidessimo a parlare e potrebbe capitare che ti rispondessimo così: vivendo! Allora potrebbe capitare che tu esclamassi: ma che vuol dire? Noi, sempre continuando in quell’ipotesi, potremmo insistere dicendo che si, ne siamo usciti solo vivendo e potrebbe capitare che aggiungessimo anche che ne siamo usciti come abbiamo potuto e soprattutto come abbiamo saputo e che per noi solo questo era l’importante. Potremmo anche completare l’argomentazione confessandoti con tutto il cuore che a tutto il resto non sappiamo dare una ragione. Allora potrebbe capitare che tu, preso da una curiosità che non si spiega e diventando, a dir il vero, alquanto impertinente, ci domandassi se mai ci siamo chiesti del perché sia finita quella stagione. E potrebbe capitare che noi, sbuffando come tori nell’arena, ti rispondessimo che si, ce lo siamo chiesti ma che mai abbiamo trovato uno straccio di spiegazione. Potrebbe capitare che ti dicessimo che potremmo sciorinare, se proprio vuoi essere preso per il culo, mille dotte argomentazioni ma tutte ci lascerebbero fuori. Tutte non spiegherebbero la nostra personale condizione. A questo punto potrebbe capitare che tu, non avendo ancora capito niente, continuassi a domandarci se tutto questo ci sia sufficiente, insomma che ci basti. E noi, visto che ormai ci siamo, ti potremmo rispondere che certo, non ci basta ma che altro potremmo fare? Potrebbe accadere che continuassimo dicendoti che non abbiamo più le forze e ancor meno gli strumenti per capire perché quel secolo crudele è crollato in testa al mondo spazzando tutte le sue certezze e, quello che è ancor più grave, persino i suoi dubbi più sinceri, quelli che in quegli anni avevano fatto capolino, quelli che avevano messo in discussione una tradizione di cent’anni. E potrebbe capitare che noi insistessimo dicendo: anche i dubbi, si! Via, spazzati via sotto i colpi della scopa della Storia, dalla plastica d’una modernità che sempre più si rifugiava nelle curve d’un tempo arrotolato, spacciato per nuovo ma coniugato solo al passato. Potrebbe capitare alfin che concludessimo che non c’è modo né ragione di spiegare la devastazione dei nostri animi e che non c’è scienza nè coscienza che, in fondo, a questo punto tiene. Che oggi l’unica nostra condizione non può che essere quella di una schizofrenica estraniazione. E allora potrebbe capitare che tu continuassi a domandare: in questo modo come fate a campare? E noi potremmo insistere nel dirti che l’unica soluzione è vivere dal di fuori, fuori da questa società che, a forza, ci contiene, ci imprigiona. L’unica cosa certa che sappiamo è che la nostra generazione ha perso. E potrebbe capitare che ti dicessimo di non chiederci cosa abbiamo perso perché non te lo sapremmo nemmeno dire perché quello che avevamo conquistato ancora non l’avevamo sperimentato. Siamo consapevoli che abbiamo perso qualcosa di importante, di grande, di entusiasmante, ma non sappiamo cosa. A questo punto potrebbe capitare che tu ci chiedessi se comunque qualcosa abbiamo combinato, se, insomma, qualcosa abbiamo cambiato. E noi ci vedremmo costretti, rinchiusi in un sorriso amaro, a risponderti che no, non abbiamo cambiato un accidente e che, anzi, anche noi portiamo una responsabilità di questo disfacimento. E poi, presi da una rabbia che non si spiega, potremmo anche affermare che chi dice di si vuol dire che di poco s’accontenta e vuol a tutti i costi dare un senso al sacrificio delle loro e nostre vite. E potrebbe capitare che concludessimo poi, alzando anche la voce, che noi volevamo ribaltare il mondo e non certo dargli un’aggiustatina. Tu potresti, alfine, visto che dal nostro rapporto col passato non ci cavi un ragno dal buco, chiederci dell’oggi che pensiamo. Potrebbe capitare che noi, tanto per cambiare, ci vedessimo costretti a rispondere che non ci capiamo niente e che, per quanto ci sforziamo, non siamo capaci di comprendere quello che succede, che ci resta solo lo stupore e un’unica domanda sconsolata: com’è che siamo sprofondati in un mondo così crudele? Ma no! Potremmo anche dirti che, invece, qualcosa c’è rimasto e che questo qualcosa è una rabbia smisurata e un odio animale ma entrambi in forma fossile ed esercitati dal di fuori. Potremmo raccontarti che questi due nostri sentimenti ci fanno credere ancora in una identificazione che si misura nella dimensione del plurale. Da fuori, è vero; contro, è vero; nella disperazione, è vero; ma è lotta per la sopravvivenza d’una coscienza che si intestardisce a voler pronunciare, ma chissà quando, una parola che ormai è stata cancellata da ogni dizionario: NOI! Di fronte a questo nostro ultimo fiotto di respiro, allora, potrebbe capitare che tu ci incalzassi con l’ultima domanda: che vi resta da fare? E noi, sicuri del fatto nostro, potremmo con semplicità risponderti che non ci resta che aspettare. Ma come? Aspettare? Potrebbe essere la tua esclamazione perchè in questa risposta tu non ci riconosci. Allora, presi da forte commozione per il tuo atto di considerazione, potrebbe capitare che ti spiegassimo che si, non ci resta altro che aspettare che qualcosa accada, qualcosa che noi non abbiamo, però, il potere di prevedere, che qualcosa risorga dalle ceneri della nostra incapacità, qualcosa che travalichi le nostre intelligenze perché ormai noi siamo diventati inadeguati, siamo inchiodati in categorie che non servono più a niente. Siamo vecchi, vecchi nel cervello e l’unica cosa che possiamo mettere sul piatto, a disposizione di chi ne vuol fare un qualche uso foss’anche sconsiderato, sono quella rabbia e quell’odio irrazionale che nessuno oggi vuol capire. Non è gran che ma questo potrebbe essere il nostro piccolo contributo anche perchè è solo quello che abbiamo. Potrebbe capitare, però, che ti dicessimo che, in fondo, non c’aspettiamo niente dal futuro e che l’unica cosa che aspettiamo è che arrivi il nostro tempo, che la morte ci porti via perché non riusciamo più a gettare lo sguardo troppo lontano. Adesso il giorno è sempre giorno pieno ma per noi è notte permanente e l’alba è solo un patetico ricordo di quando la Terra, in un tempo ormai remoto, girava su se stessa. Questo potremmo dirti, si. Ma ricordati questa è solo un’ipotesi, quello che potrebbe capitare. Ma potrebbe anche capitare che le parole che abbiamo pronunciato fino a questo momento diventassero vecchie d’un sol colpo. Che diventassero un grumo di panna acida, un bolo putrescente di merda e di pensiero. Potrebbe capitare che la Storia, dopo decenni di cammino rettilineo, riaccendesse i suoi motori un po’ ingrippati e facesse una repentina svolta ad U per riprendere la sua marcia. Potrebbe capitare che all’ordine del giorno, oh guarda che miracolo!, ritornasse la rivolta. Hai capito? La rivolta! Oggi e non domani. Come urgenza. Come necessità. Come pratica quotidiana. Certo, potrebbe capitare e tutto questo alla faccia delle mille bocche spalancate che ormai s’erano convinte che quest’orizzonte non si potesse oltrepassare. Alla faccia di quei poveri coglioni, e ce ne sono tanti, credimi, che ormai di quell’orizzone se n’erano appropriati, chi per ignoranza, chi per interesse personale, chi per tradimento, chi per incapacità a sognare. Ma allora a questo punto tu potresti domandarci: se succedesse voi che fareste? Bella domanda. Noi proveremmo a dirti che, sulle ali di un entusiasmo rinnovato e presumibilmente colpiti da una frenesia infantile che non ci s’addice, non ci staremmo a pensare un sol momento. Si! Ci tufferemmo nel vortice del ribaltamento. Ci immergeremmo nel caos del movimento. E potrebbe anche capitare che tornassimo a sognare. Fianco a fianco ai ragazzi senza barba, tenendoci per mano con gli ultimi del mondo, abbracciandoci con i nuovi costruttori di pensiero non convenzionale. Ma tu potresti chiederci, e non senza ragione, se non ci sentiremmo inadeguati, fuori posto e persino indesiderati. E noi potremmo risponderti che si, certo, non ci sentiremmo completamente a casa nostra ma quella ormai l’abbiamo lasciata da troppo tempo e anche se ci tornassimo troveremmo solo un mucchio di macerie. Potremmo continuare dicendoti che ricominceremmo a studiare, a riprendere in mano i nuovi libri e, come studenti diligenti, a sottolineare le parole. Certo ci metteremmo più degli altri perché ormai il cervello s’è arrugginito, invischiato in categorie ormai incartapecorite ma non ci mancherebbe, penso, né l’umiltà e tanto meno la voglia d’imparare. Insomma torneremmo a scuola dalla gente. Ascolteremmo, parteciperemmo, sorrideremmo, piangeremmo. Ci saremmo. Un po’ in disparte, questo è naturale, perché altre sarebbero le generazioni ma… Ma? Potresti allora domandare. Ma la nostra adesione sarebbe incondizionata, ti risponderemmo, anche se non capissimo tutto quanto. E alfine tu potresti domandare, allora, se quello che abbiamo detto non valga più un accidente. E noi semplicemente ti risponderemmo che c’è un tempo per ogni cosa e i tempi sono diversi gli uni dagli altri. Ti risponderemmo che i sentimenti, i pensieri, le sensazioni, le disperazioni, gli entusiasmi cambiano e la loro autenticità si misura nel tempo dato e non in astratto fuori dalla Storia. Quindi non solo sterile testimonianza bensì prodromi di cambiamento, già. E allora… tanto per finire, alla fonte del re c’erano tre oche che andavano a bè. Tre oche, due oche, un ochino e un ochè. Alè!

Tagliacarte in Ottone Rivestito di Pelle – Le Arti Pelletterie ...

BENITO CIBERAZZI:

LO STRUMENTO (TOOLS)

Domani il capo di Benito, Cino, vuole fare una “conference call” in forma riservata, per concordare la strategia di alcuni “OBIETTIVI” da utilizzare per lo “SMART-WORKING”. Considerazioni CIBERAZZI: Sti Cazzi, mi vuole bene il mio cipo eh, ciano eh, capo, vuole il mio parere per poi definire insieme le strategie. Questa è la conferma fattuale che mi vuole aiutare a salire, mi darà sicuramente una bella spinta!

Ore 7,15 squilla il telefono. CINO: Giorno Benito, Cino che parla. Benito, sono in macchina, volevo solo ricordarle l’appuntamento delle 8,30 su skipe. A più tardi!    Considerazioni CIBERAZZI: WOW, lui in macchina ed io ancora a letto, e vai!!!

Ore 8,30 CINO: pronto Benito? senza cravatta vedo? beato lei !(considerazioni CIBERAZZI: lui non vede che sono in mutande e con le ciabatte! L’ho fregato!)

CINO: Benito, come saprà stiamo procedendo alla tabulazione per l’acquisto dei nuovi PC, tutti con webcam, touch-screen e memoria ampliata, con applicazione di pacchetti software di ultima generazione 4.0. Si sarà chiesto ..perche’ questo acquisto? Ma avrà capito sicuramente! CIBERAZZI: certamente! CINO: Bene, Insieme ai PC procederemo a scegliere l’opzione della formazione on line. Come avrà capito l’azienda vuole il bene del dipendente, lo vuole far lavorare nelle migliori condizioni possibili, senza intoppi e con TOOLS efficienti e di nuova generazione ed inoltre vuole formare il proprio personale. Questi nuovi PC saranno forniti a tutti i nostri dipendenti che hanno la possibilità (diciamolo, il privilegio) di fare “SMART-WORKING” al fine di aumentare la produttività, ed inoltre come le ho anticipato anche dei corsi di formazione on line, con tutor virtuale che ciascuno potrà interpellare da casa. Cosa ne pensa, Benito?

CIBERAZZI: sono colpito di questa scelta dell’azienda che investe sul proprio personale, una splendida idea. (Caspita di nuovo prurito, come faccio a grattarmi? Adesso prendo quel tagliacarte e provo… mamma che prurito?)

CINO: è chiaro, Benito che questi PC, i software e il corso di formazione, saranno dati al dipendente che ne diventerà proprietario attraverso il pagamento simbolico in tre rate mensili, trattenute dallo stipendio, pari al costo sostenuto dall’azienda, senza alcun ricarico ovviamente. Poi, come sa, con lei prepareremo la domanda per richiederne il finanziamento allo stato :costo dei nuovi PC , del corso di formazione e delle ore che il personale a casa impiegherà per fare la formazione.

Una cosa ancora Benito, confido nella sua riservatezza lo considero oramai dei nostri, bene, eh … gradiremmo che ciascun dipendente faccia la formazione nei “WEEK-END” senza che ciò si sappia ufficialmente, dovrebbe girare con la tecnica “WORD OF MOUTH” di cui lei sarà il COORDINATOR.., tutto ciò per non impattare sui tempi di lavoro, capisce bene l’azienda ne ha bisogno, non vorremmo ricorrere a CIGS, OUTSOURCHING oppure OFFSHORING, … sono tempi bui.

CIBERAZZI: sono perfettamente d’accordo, meglio il lavoro, a qualunque costo. (Questa la dovevo dire io o lui, comunque suona bene.)   Caspita che prurito, forse il tagliacarte non è sufficiente.

CINO: allora d’accordo Benito, prepariamo questa procedura sui TOOLS, ci riesce a farla per domattina? Non dimentichi il “WORD OF MOUTH”

CIBERAZZI: certamente! Comunque volevo dire grazie sia all’azienda che a lei che vi preoccupate di stimolare la crescita del personale. Le sono inoltre grato di essere stato scelto come il Coordinator del “WORD OF MOUTH”

Ore 13,17 considerazioni CIBERAZZI: come mi vuole bene il mio capo, mi farà crescere! Lui diventerà direttore ed io suo assistente, sto imparando! Responsabile del “WORD OF … MUTE ???” Come ha detto, vediamo nel Collins: “Word of Mute” la parola del muto??? Devo indagare, forse faccio una ricerca con un consulente esterno. Ma che prurito oggi, è proprio forte, faccio un giro del PC, 6 passi a gambe divaricate, 2,75 metri.

Ore 17.17 riflessione CIBERAZZI: Posso passare il mio PC a DIANA, così lei guarderà le sue cose da comprare on-line ed io potrò utilizzare il nuovo PC con tutti gli accessori smart e continuare a lavorare senza interruzioni! Viva i nuovi TOOLS e i MUD?, MUTE?, MOUTH? (perché me lo dicono in inglese?? ) (segue).

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BENITO CIBERAZZI: LA SEDUTA

Ore 23,30 CIBERAZZI: Domani mi sveglio alle 8, 30 dopo che DIANA sarà andata a ca- ssa, e faccio colazione: cornetto surgelato nel micro-onde, marmellata di ciliegie e il caffè lungo al PC. Sarà una giornata tranquilla, devo fare solo una tabulazione delle offerte ricevute per l’acquisto di nuovi PC aziendali (Chissà perché di nuovi, visto che non li usa nessuno, ma? Vai a capire questi capi! Non capiscono niente e si ritrovano a comandare! Se ci fossi io ???!!!!!)

Ore 8,00 CIBERAZZI: non riesco ad andare in bagno, caspita! Sarà una stitichezza momentanea? Forse mi muovo poco?

Ore 8,29: water del bagno, CIBERAZZI: ancora niente, Okay, resto in pigiama mi faccio il caffè lungo, almeno questo, e vado al PC. (Dal sedile del water alla sedia del soggiorno, 7 passi, 3,9 metri). CIBERAZZI: Sono in pigiama, tanto chi se ne accorge, e sono anche con le pantofole, che lusso. Roba da ricchi! E chi me lo doveva dire?

Ore 8,30 riflessione CIBERAZZI: Bene, pensa se fossi stato obbligato ad andare a lavorare come prima, avrei fatto tardi!

Ore 11,30 CIBERAZZI: la faccio o non la faccio la pausa del caffè, due chiacchiere—eeee—due chat,…. No, Non ho tempo per le chat, però un bel caffè normale ci sta tutto.

Ore 13,30: finita la prima parte della tabulazione. CIBERAZZI: Adesso mi alzo e vado a pranzo, mangio qualcosa. Diana mi avrà portato qualcosa ieri sera dal supermercato! Meno male riusciamo a collaborare in famiglia! Mi alzo e vado in cucina, scongelo al microonde, impiatto … e vai!!!!!  Non riesco a mangiare, forse sono costipato!!! Vado in bagno 6 passi , 4,8 metri … mi applico…., mi riapplico…., niente!

Ore 14,25: CIBERAZZI: adesso mi alzo dal water prendo il piatto dal microonde e mangio al PC.  Riflessione CIBERAZZI: Pensa che fortuna, se fossi al lavoro in ufficio avrei saltato il pranzo!

Ore 15,00: CIBERAZZI: che prurito! ma cosa succede!! Mi sento qualcosa!!! Faccio una pausa caffè! Non ho tanto tempo, vada per un caffe stretto al PC. … mmmm Che prurito, caspita! Come faccio a vedere cos’è! MMMHHHH, sembrano due protuberanze…. Caspita, le emorroidi! Vediamo cosa dice internet : dunque, emorroidi interne, emorroidi esterne… esterne, vediamo adesso le cause? Dunque Sollevamenti carichi pesanti? no non sono le mie. Gravidanza, no, non sono le mie. Prolungata posizione seduta: ah ecco, forse sono le mie!

Ore 16,45: CIBERAZZI: non ce la faccio più! Un prurito da morire, mi alzo faccio un giro intorno al PC. 6 passi lenti a gambe divaricate, 2,75 metri.

Ore 19,00 :: CIBERAZZI: ho finito, ho finito. Che dolore , che prurito. riflessioni CIBERAZZI: Meno male che lavoro a casa domani posso lavorare e non ho bisogno di prendere un giorno di malattia per le emorroidi! (segue).

Lavorare da remoto: consigli per gestire i dipendenti in smart ...

BENITO CIBERAZZI, UN UOMO

AI TEMPI DEL COVID 19

1.BENITO CIBERAZZI

Anni 42, impiegato d’ordine in azienda commerciale in centro città di Milano.

  • Benito …. Un padre nostalgico
  • CIBER … uno spasmodico utilizzatore dei giochi a computer (Play station, giochi di ruolo, amante e nostalgico del game-boy)
  • AZZI … e adesso sono i periodi.

E’ un laureato in scienze della comunicazione o forse in giurisprudenza, corso di lingua con stage estero (vacanze studio) ha qualche difficoltà agli adeguamenti tecnologici repentini, buona conoscenza pacchetto office, usa whats-up, twitter, face-book…ed ovviamente Linkedin… ben collegato e connesso con amici ed aperitivo, poco con colleghi di lavoro. Ha qualche difficoltà per down-load, i-cloud, gestione delle info su server, formattazione dei file, autocad 3D Bim, # hastag…, project planning, …. Impiegato tranquillo, orario flessibile, poco incline alla relazione interpersonale – piuttosto schivo sul lavoro, di religione da definire, politicamente liberale, apprezza la valorizzazione individuale, grande autostima …. “La vita va vissuta”.

Stipendio 1.300€/mese

Vive in periferia, bilocale arredato, in zona servita da mezzi (autobus fino a metropolitana), convive con DIANA (dea della cas-sa). Cassiera al supermercato di un centro commerciale.

Il suo capo: CINO (CI-ANO non può essere poi ricorda qualcuno) Okay CINO

PREMESSA: RICONTESTUALIZZAZIONE

Febbraio 2020: Arriva il CO-rona VI-rus D-isease COVID 19 pausa (allora ce ne sono stati 18 prima?? Ma?, forse !)

Non si può più andare al lavoro per problemi di sicurezza e l’uso dei mezzi pubblici è ridotto solo a quei lavoratori la cui attività aziendale è definita di pubblica utilità. Si invitano le aziende ad incentivare lo “SMART-WORKING” per tutte quelle attività che si possono svolgere senza la necessaria presenza in ufficio.

Fuori campo – Caspita, allora possiamo restare a casa e lavorare come ci pare, senza la rottura di palle della timbratura, senza quelle pallose riunioni con il capo che ha sempre ragione… wow, mi organizzo! Ma vi rendete conto, “SMART-WORKING”! Fammi controllare meglio, non vorrei che usano questi termini inglesi per non farci capire cosa ci fanno fare. Vocabolario Collins (quello del liceo) parola SMART : elegante, intelligente. Ma perché in altri paesi lo chiamano “TELE-WORKING” “HOME- WORKING”, chi se ne frega! Adesso verifico cosa si dice per SMART WORKING nelle società di formazione, # velodicoio…. “Creare le condizioni per un nuovo approccio al lavoro che, se ben sfruttato, può avere tra i suoi vantaggi anche un aumento della produttività. CASPITA Se supportati da un po’ di disciplina e da adeguati modelli di gestione del lavoro per obiettivi, da casa si è più efficaci, focalizzati e produttivi”.

CIBERAZZI: WOW potrò guadagnare di più!!! E’ ARRIVATO IL MIO MOMENTO!!!! Anche il Governo la pensa così, li ci sono quelli che difendono i lavoratori e i giovani, dai stavolta abbiamo svoltato (segue).

L'urlo di Munch e la solitudine dell'uomo moderno

LO SFOGO DI UN

POVERO COGLIONE

Da dietro le sbarre d’una galera domestica, con un tocco di voce residuale e con i tappi alle orecchie per non ascoltare la menzognera informazione vomitata sulla pelle della gente, schifato dal buonismo rincoglionito del “ce la faremo” o ancora peggio del “presto tutto tornerà come prima” mi stupisco che ci si rifiuti ostinatamente a mettere in moto il cervello. I nostri “meravigliosi” intellettuali ancora una volta, come se noi, poveri imbecilli, bisognosi di abbeverarci alle loro parole come assetati nel deserto avessimo bisogno d’una conferma, si fanno notare per il loro rumoroso silenzio o, ancora peggio, per le loro cazzate generate dalla loro distanza di anni luce dalla realtà, chiusi nei palazzi dorati delle accademie o negli infettati, questi si, salotti ciarlieri della televisione o dei giornali. Viene voglia d’urlare e d’uscire per strada per spaccare le teste di noi automi umani per vedere se ancora qualche scintilla d’elettricità c’è rimasta. Oppure c’è solo paura e asservimento alle idee del pensiero unico come fossimo tutti quanti degli “stupidi” schiavi? Forse ci piace essere schiavi, forse siamo in preda d’una sindrome masochistica che ci fa desiderare di rientrare nella pancia gonfia d’una madre a cui vogliamo delegare il compito di pensare al posto nostro? Forse. Ma la cosa che più mi fa incazzare è il fatto che proprio quelli che avrebbero tutti gli strumenti per dire qualcosa che rompa questo clima di morte civile latitano, delegano, piangono, insomma non fanno un cazzo per partorire almeno un aborto di pensiero. A chi mi riferisco? A tutti quelli che lavorano, girano nella, frequentano, idolatrano la grande “industria culturale”. Oggi c’è bisogno, invece e più di prima, di pensare. C’è bisogno di pensiero non conformato. Di provare a capire com’è fatto il mondo e come è auspicabile che sia perché non possiamo tornare al prima visto che proprio il prima è il problema.

Dite, dove site finiti tutti quanti?

Voi, scrittori, scrittorucoli, scribacchini, editori, editor, redattori perché non parlate? Siete troppi presi a scrivere, leggere, correggere, editare, promuovere le vostre storie del cazzo sui tormenti amorosi delle figlie della buona borghesia? Siete troppo presi dal frequentare, o pensare di farlo, i salotti letterari per soddisfare la vostra debordante vanità? Siete troppo occupati a pensare come curare relazioni, a leccare il culo, a prostrarvi, a strisciare come vermi dinanzi a chi vi può dare un minimo di visibilità? Poveri imbecilli! Non avete capito che da questa emergenza anche voi ne uscirete devastati? Annullati? Che i vostri sforzi fatti in anni e anni di servilismo saranno stati sprecati? Cosa credete che l’industria editoriale sarà come prima? Verrete presi a calci nel culo, scacciati, lasciati a casa disoccupati a rimirare il vostro inutile ombelico, anche se, a dir la verità, sempre questo avete fatto. Ben vi sta. Potevate pensarci prima.

Voi attori, attorucoli, attoroni, tromboni e aspiranti tromboni, teatranti da strapazzo, drammaturghi, registi perché non alzate perlomeno la mano per dire che ci siete, perché non battete un colpo? Perché non dite qualcosa? Voi che sapete dire perché ve l’hanno insegnato. Siete troppo presi dalla vostra ossessione dell’apparire? Siete troppo occupati a obbedire ai vostri padroni? Siete così “stupidi” da non capire che vi pigliano per il culo? Non vi ha insegnato niente il Teatro? Già ma quale teatro? Siete immersi nella melma del conformismo consolatorio e dell’obbedienza. Vi ricordate cosa diceva Socrate fin dall’inizio? Il Teatro è il perturbante! Oppure non l’avete mai saputo? Oggi, se non tornerete a parlare, a urlare, a far capire, a insinuare dubbi, vi ridurrete a ridicoli buffoni senz’anima, senza cuore, senza cervello e, presi dal vostro nauseante narcisismo tecnico e performante, ripeterete solo parole suggerite da altri. Vergognatevi! Voi siete morti mentre il Teatro è vita.

Voi insegnanti di ogni ordine e grado o presunti tali, anche voi, perché non profferite parola? Voi dovreste essere il riferimento per le giovani generazioni! E che fate? Continuate a perpetuare il disastro degli ultimi vent’anni. Siete diventati adoratori obbedienti e diligenti del vitello d’oro dell’individualismo e del merito, dell’iper-specializzazione che serve solo al nuovo modello di produzione, dimenticando la Storia e perpetuando l’idea del presente come tempo esclusivo senza futuro e senza alcuna lezione del passato. Avete fallito! Anche voi avete tutti gli strumenti ma ve li siete mangiati, digeriti e poi cagati senza nemmeno averli in minima parte assimilati. Cattivi maestri, ecco cosa siete. Per il vostro silenzio avete tutto il mio disprezzo.

Voi musicisti, spippolatori di corde e soffiatori di fiati, imbrattatori di tele, cineasti, lavoratori dell’arte, e chi ne ha più ne metta, tutti quanti presunti tali, voi che dite senza ritegno e, ancor peggio, con orgoglio che siete il “rifugio dell’anima” perché rimanete muti? Smettete di suonare i vostri flauti, tromboni, violini, smettete di sporcare le vostre tele che non dicono un cazzo, smettete di filmare il niente, e alzate la testa. Quando capirete che l’anima e inscindibile dal cervello, che la coscienza va di pari passo con Behetoven e con Fellini? Che aspettate? Mi fate pena, pifferai del silenzio!

Di fronte a tutti voi, “stupidi” complici non so quanto inconsapevoli, m’esplode la rabbia, una rabbia incontenibile e un odio a cui non so porre rimedio. Ma sbaglio perché i sentimenti dominanti sono la tristezza per il vostro fallimento, la commiserazione per il vostro nulla, lo stupore per il vostro servilismo. In fondo, però, è la coscienza del MIO di fallimento che mi fa male, che mi fa impazzire. Io povero coglione, io che non sono niente, io che non so suonare, recitare, scrivere, filmare, dipingere, insomma che non so fare un cazzo, che, però, nel mio piccolo, ho cercato sempre di tenere accesa una fiammella, seppur fievole, di pensiero, ho fallito ben più di voi perché non ho saputo parlarvi ma… nonostante tutto ancora mi ostino a credere che questo NON sia il mondo migliore che possiamo desiderare.

Pensateci.