Date/Time
Date(s) - 11/05/2018 - 04/06/2018
18:00 - 19:15
No Categorie
Due poeti:
Pier Paolo Pasolini e
Pierluigi Cappello
APERITIVO LETTERARIO
FRIULANO
L’APERITIVO LETTERARIO è dedicato OGNI MESE a uno scrittore, a un libro e alla regione di appartenenza legando così la cultura locale del cibo e del vino alla Letteratura.
MAGGIO lo dedichiamo al Friuli Venezia Giulia scegliendo cantine e prodotti Friulani dedicandolo a due Poeti d’eccellenza quali Pier Paolo Pasolini e Pierluigi Cappello.
In collaborazione con Grappoli e Luppoli che per noi cerca e scopre le preziose Cantine Vinicole nostrane.
Per tutto il mese di maggio
CALICE DI VINO + PIATTINO DEGUSTAZIONE PRODOTTI TIPICI FRIULANI € 13
CALICE DI VINO + PIATTINO DEGUSTAZIONE PRODOTTI TIPICI FRIULANI + LIBRO € 11 + € LIBRO
L’Azienda vinicola è TacoliAsquini
(Cantina Storica dal 1723) con i suoi vini biologici:
- RIBOLLA GIALLA. Vino minerale con sentori di polvere di marmo e pietra focaia e con gusto leggermente acidulo.
- RUANO. Blend di Cabernet Franc, Refosco dal Peducolo Rosso e Merlot. Colore rosso brillante. Profumi di frutta rossa e cuoio. In bocca è caldo e pieno con presenza di tannini. 18 giorni di fermentazione sulle bucce seguito da affinamenteo per 12 mesi in botte di rovere.
Piattino degustazione di prodotti tipici friulani: PITINA NOE’, FORMAGGIO MONTASIO TOSONI, FORMAGGIO FORMADI FRANT, RADICCHIO SOTT’OLIO, SEDANORAPA SOTT’OLIO.
Pierluigi Cappello:(Gemona del Friuli, 8 agosto1967 – Cassacco, 1º ottobre2017) è stato un poetaitaliano.Nato a Gemona del Friuli (Udine) e cittadino onorario di Udine e Tarcento (Udine), Cappello ha vinto il premio «Montale» nel 2004 con «Dittico», il «Viareggio-Rèpaci» nel 2010, il «Vittorio De Sica» nel 2012 e il «Maria Teresa Messori Roncaglia ed Eugenio Mari» per l’opera poetica, conferitogli nel 2013 l’Accademia dei Lincei. Nel 2014 a Udine, gli è stato consegnato il premio letterario internazionale Terzani ex aequo con Mohsin Hamid.
Pier Paolo Pasolini:(Bologna, 5 marzo1922 – Lido di Ostia, 2 novembre1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano, considerato tra i maggiori artisti e intellettuali del XX secolo. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, non solo in lingua italiana, ma anche friulana.
La Crocetti Editore è stata fondata nel 1981 da Nicola Crocetti, grecista e traduttore di poesia greca moderna e contemporanea. La casa editrice pubblica collane di poesia, ognuna delle quali connotata da un logo raffigurante la stilizzazione di un vaso greco. Il catalogo della Crocetti Editore comprende numerosi poeti italiani e stranieri, oltre ad alcuni volumi collettivi, come per esempio le antologie della poesia basca, svedese, russa e la monumentale Antologia della poesia greca contemporanea, opera unica nel suo genere in Italia. Tutti i volumi sono con testo originale a fronte. Tra i poeti stranieri pubblicati ricordiamo: Ritsos, Kavafis, Aragon, Gibran, Rilke, Dickinson, Machado, Whitman, Elitis, St. Vincent Millay, Valéry, Weil, Amichai, Sexton, Anaghnostakis, Majakovskij, Verlaine, Mallarmé, Rich, Saenz, Tranströmer. Tra gli italiani: Alda Merini, Franco Loi, Antonella Anedda; Giovanni Raboni, Maria Luisa Spaziani, Antonio Porta, Cesare Viviani, Milo De Angelis, Pierluigi Cappello, Aldo Nove.
Nell’autunno del 1998 alle collane di poesia si è aggiunta “Aristea”, una nuova collana di narrativa greca contemporanea che comprende alcuni dei romanzi greci piú venduti e letterariamente piú rilevanti del Ventesimo secolo, finora assolutamente sconosciuti al pubblico italiano. Ad oggi sono usciti 75 volumi. Successivamente sono nate le altre due collane di narrativa, “Cosmos” ed “Esperia”. La prima è dedicata alla letteratura sudamericana ancora poco conosciuta, come quella boliviana; la seconda è dedicata all’Italia, in particolare ai lavori di giovani autori esordienti. Dal gennaio 1988 Crocetti pubblica la rivista mensile “Poesia”, la piú diffusa pubblicazione di cultura poetica di tutta l’Europa, con una tiratura mensile di poco superiore alle 20.000 copie. Nei suoi 21 anni di vita – record senza precedenti per un periodico culturale, il primo nella storia d’Italia distribuito in edicola – ha pubblicato più di 2.000 poeti, spesso tradotti per la prima volta in italiano, e più di 20.000 poesie.
Da fine 2009 Crocetti Editore s.r.l. cambia denominazione sociale e diviene Fondazione Poesia Onlus, casa editrice di “Poesia” e dei libri Crocetti Editore.
Preferibilmente SU PRENOTAZIONE ALLO 02 36 52 07 97
PIAZZA SAN SIMPLICIANO 7 20121 MILANO (MM Lanza)
“La poetica di Pierluigi Cappello, basata, come ci ricorda Mario Turello, sul comprendere, abbracciare, contemplare, commuoversi, evoca una necessità, un compito che è anche quello di un teatro vivo – sottolinea il direttore artistico prosa Giuseppe Bevilacqua -. L’impegno civile di Cappello a una Educazione alla poesia si è concretamente rivelato come una rete di relazioni umane creative, a cui il nostro teatro, che pensiamo come un “bene di relazione”, sente necessario dare spazio favorendo l’incontro tra chi ne ha accolto e riproposto in modi diversi la grande eredità”.
Biografia
Pierluigi Cappello è nato nel 1967 ed è vissuto a lungo a Chiusaforte (UD); ora vive a Tricesimo. Ha diretto la collana di poesia La barca di Babele, edita a Meduno e fondata da un gruppo di poeti friulani nel 1999.
Ha pubblicato i seguenti libri: Le nebbie (1994), La misura dell’erba (1998), Amôrs (1999), Dentro Gerico (2002). Con Dittico (Liboà, Dogliani 2004) ha vinto il premio Montale Europa di poesia. Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006) è stato vincitore dei premi Pisa (2006) e Bagutta Opera Prima (2007). Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di prose e interventi intitolata Il dio del mare (Lineadaria, Biella 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, Milano 2010), col quale vince il premio Viareggio-Repaci.
Nel 2013 Rizzoli pubblica la sua prima opera narrativa: Questa libertà ed in contemporanea anche la raccolta di tutte le poesie Azzurro elementare. Con Questa libertà vince il premio Terzani 2014.
Pierluigi Cappello, l’ultimo dei pasoliniani
A 50 anni si è spento un poeta tra i più amati. Visse gran parte della vita in una casa di legno nel Friuli terremotato. Aveva vinto il premio Montale
Ci sono articoli che non si vorrebbero mai scrivere e per quanto il mestiere imponga anche il luttuoso coccodrillo, questa volta chi scrive lo fa con il cuore in lacrime per la morte dell’amico poeta. Il giovane poeta, il migliore dell’ultima generazione, Pierluigi Cappello, ad appena cinquant’anni è volato via leggero, nel mondo dei più. Dovevamo aspettarcelo, questo battito d’ali precoce dall’autore di Assetto di volo: la raccolta di poesie edita da Crocetti e curata dall’infaticabile Anna De Simone. Era stata proprio Anna a metterci in contatto, prima telefonicamente e poi con un viaggio a domicilio, a Tricesimo (Udine). Appuntamento alla “casetta di legno” di via san Francesco. Quella casa fiabesca era in realtà il simbolo drammatico delle sue radici terremotate, Cappello era nato a Gemona del Friuli («ma la mia “Macondo” – ci teneva a ricordare – è il borgo di Chiusaforte», dove verrà sepolto), nove anni prima del terribile sisma che causò quasi mille morti. In quella casa, dono solidale del governo austriaco ai terremotati friulani, entrai con il “ritrattista” e suo amico fraterno, il fotografo Danilo De Marco, e il collega Luigi Marsiglia. Quella del poeta era la casa del sorriso. Perché Pierluigi sapeva sorridere, di una risata dolce e contagiosa, di tutto, anche della sua condizione di disabile. Un incidente in moto, a sedici anni, aveva cancellato in un istante i suoi sogni di gloria, «quelli del centometrista promettente».
Fino alla fine dei suoi giorni – avvenuta domenica a Casacco dove oggi si celebreranno i funerali – Pierluigi era stato “condannato” alla sedia a rotelle. Ma la sua corsa sarebbe continuata sulla pagina, rincorrendo nuvole e parole con la poesia (debutto nel 1994 con Le nebbie ,Campanotto) – dialettale e in italiano – e con una prosa avvolgente che spaziava dall’articolo saggistico (bella la serie per “Il Sole 24 Ore”), fino al romanzo Questa libertà (Rizzoli). Un vero poeta che aveva scelto per compagna di vita e di scrittura la solitudine. Ma una «solitudine animata e mai rancorosa», l’ha giustamente definita Eraldo Affinati. Non era un uomo solo Cappello, ma un solitario come la sua « surlastre » (sorellastra), la poetessa Ida Vallerugo che finché le energie gliel’hanno permesso andava a trovare nel suo rifugio di Meduno. Un incontro tra anime pasoliniane, potentemente fragili. Tra loro aleggiava anche il folle e geniale Federico Tavan, il poeta di Andreis. «Guarda che devi conoscerlo a Federico…», mi disse Pierluigi con quei suoi occhi radiosi che invitavano a salire lassù, oltre la diga del Vajont, per toccare con mano quella poesia carnale che, tra una rissa e l’altra con i demoni della malattia mentale, Tavan partoriva con rabbiosa tenerezza. Cappello viveva con poco e ha continuato a sorridere anche quando «le pantegane mi hanno sfrattato dalla casa di legno», e perfino quando il male si è fatto dolore insostenibile. Ma amava i partigiani come il suo amico “Cid” e, seduti a una frasca a brindare all’amicizia davanti al fogolar, diceva: «In fondo, anche noi oggi stiamo facendo una qualche Resistenza». Amava il vino rosso dei colli furlani ma si abbeverava fissando le stelle del cielo sopra il suo Nordest. «Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno / l’ombra delle nuvole sul fondo della valle / sono i miei punti cardinali». Versi meritevoli di tutti i riconoscimenti possibili, capaci di scorticare l’anima pop di Jovanotti che firma la prefazione di Stato di quiete. Poesie 2010-2016 (Rizzoli).
Nel 2010 vinse il Viareggio ed è stato l’ultimo poeta insignito del premio Montale, «poi – sottolineava – non è stato più assegnato e io sono l’unico che per mancanza di fondi non ha ricevuto l’assegno». La ricchezza del poeta era tutta nell’arte dell’incontro. Pierluigi è stato un poeta tra la gente e per la gente. E oggi vorrei ricordarlo quando sprizzante di gioia allontanava la morte un po’ più in là per annunciare: «Ho appena terminato un lavoro su venti autori tradotti in friulano, da Shakespeare a Caproni». Il giorno del nostro matrimonio, con Erika l’avremmo voluto al tavolo, ma non poteva… Però Pierluigi c’era sempre e rimane, per sempre, con i suoi versi che ora come allora vanno in dono agli amici: «Tra il mio sguardo e il tuo / lo stupore del mio / caduto sulle ginocchia per vedere / come stanno le nuvole / e come le nuvole cambiano quando stiamo davvero».
Aveva 50 anni. Costretto su una sedia a rotelle da quando ne aveva 16, diceva: “Ma sarei diventato poeta anche senza l’incidente, anzi di più, anche meglio”. I funerali avranno luogo martedì 3 alle ore 15 nella chiesa di Cassacco (Udine). Cappello sarà poi sepolto a Chiusaforte.
Se c’era una cosa che veramente faceva imbufalire Pierluigi Cappello era ascoltare quella banalità, sempre la stessa: “Tu soffri tanto, tu sei su una sedia a rotelle da una vita, per forza scrivi così”. Lui ripeteva invece di essere un poeta malgrado la fragilità fisica, non grazie ad essa. L’ha spiegato a tutti per più di dieci anni trascorsi in una baracca del terremoto a Tricesimo, Udine, un prefabbricato donato dall’Austria al Friuli dopo l’ecatombe del 1976. Tra scatoloni, fotografie, matite, sigarette e bottiglie veniva ogni tanto un topo a farsi una passeggiata, oppure uno scroscio di pioggia dal tetto che non teneva più.
Pierluigi picchiava contro gli spigoli, muovendosi su quelle ruote che erano le sue gambe da quando ebbe l’incidente in moto: 16 anni lui, una promessa dell’atletica leggera, gli stessi del suo amico che morì sul colpo. “Ma sarei diventato poeta lo stesso, anzi di più, anche meglio”.
Pierluigi era un uomo bellissimo. Forse non è questa la prima cosa che si dovrebbe dire di lui, ma lo era. Sosteneva che il poeta è un vasaio, l’ultimo artigiano rimasto. Riempiva di pensieri e spunti le sue agendine nere, i post-it che incollava dappertutto, e non aveva fretta. Cesellò appena trenta poesie negli ultimi 6 anni strappati a una sofferenza fisica indicibile, dopo che la legge Bacchelli era finalmente riuscita a levarlo dalla baracca. Ma era ugualmente una vita grama, nessuno può campare di poesia, neppure un Premio Viareggio come Pierluigi: 700 euro al mese di pensione d’invalidità, i gettoni di qualche serata di letture, un po’ di lezioni ma poche perché il suo corpo si affaticava presto, e ogni spostamento richiedeva la mobilitazione di tanti amici. Lui li portava tutti nel petto, “gno cûr”, mio cuore. La lingua friulana è stata il suo doppio registro, la parola delle radici, il suono forte e duro per dire l’indicibile.
È stato molto letto e molto amato, Pierluigi Cappello che ammirava l’anima di grafite delle matite, “la possibilità di cancellare e tornare indietro, magari lo si potesse fare davvero”. Ogni giorno la sua vicina di casa, la signora Marisa, anche lei accampata tra quattro assi traballanti (il terremoto come dolore che incombe, spaventa e minaccia, nodo tagliato, malanno che può sempre tornare) bussava alla porta con un tòc tòc gentile e chiedeva a Pierluigi se servisse qualcosa, e lo aiutava in una piccolissima cosa tra le tante che occorrevano e chiedevano il conto. Tutto lì intorno era simbolico e concreto, il sentimento del crollo continuo, le scosse che sfregiano la terra e il respiro, la resistenza, la ricostruzione quotidiana di sé. “Fuori il sole/è fiorito sui rami, sorridente/fra me che scrivo e la parola niente”.
Parola dialogica, parola di scavo e d’incanto quella di Cappello, lo stesso dei bambini che prendono in mano i colori. “Giù, nel piccolo pugno, il pastello teneva/finestre aperte su un cielo grande,/lontano da noi.” Ma nessuna romanticheria, nessuna concessione alla fragilità del corpo che da dentro grida. “Il poeta non scrive della rosa ma di questa rosa, delle sue sfumature, della sua breve durata”. Considerava il dialetto “un modo per allargare la tastiera, un più ricco registro espressivo e un’occasione di convivenza troppo spesso sprecata”. Dopo anni trascorsi a modellare la creta dei versi con le mani, Pierluigi si era cimentato anche con la narrativa e il suo sguardo era sempre pieno di stupefatto nitore, un ramo puntava l’azzurro del cielo e subito il pianto lo bagnava. “Ci si sfila dal mondo così,/come da un vestito stanco delle feste,/quando viene la sera”.
La sera di Pierluigi Cappello è infine venuta dopo troppa fatica sopportata, una sera scesa davvero come liberazione. Quanto mancheranno agli amici quegli occhi puliti e freschi come finestre spalancate nel vento del mattino, e il suo modo di leggere le parole ad alta voce, la profondità di quel suono. “Non ci siamo sposati, io e il mio dolore siamo una coppia di fatto” diceva, sorridendo ma senza concedere neppure un punto all’avversario. Altro che alleato, un ingombro semmai e non solo nel momento della scrittura. Tutto, per Pierluigi, era sforzo sovrumano eppure nessuno è riuscito ad essere più umano di lui, si trovasse tra i topi o immerso nel profumo del calicanto che in pieno inverno annuncia un’altra vita. Adesso bisogna immaginarlo libero, finalmente. Nella lingua friulana c’è una parola bellissima e intraducibile, “inniò”, si potrebbe dire “in nessun dove”. Ecco, il caro Pierluigi ora è lì. “Jo? Jo o voi discôlç viers inniò”,/i siei vôi il celest, piturât di un bambin”. “Io? Io vado scalzo verso inniò, i suoi occhi il celeste, pitturato da un bambino”.
di MAURIZIO CROSETTI – La Repubblica